Mondo

Non è solo questione di slogan

Un viaggio attraverso i claim legati all'Olimpiade per scoprire Londra e una tensione generale alla sostenibilità

di Luca Corsolini

Non è solo questione di slogan, ma è spesso una faccenda di parole e dei progetti che quelle parole riassumono. Lo slogan di Londra 2012 è Inspire a generation, diamo ispirazione a una generazione, piu’in generale accendiamo le prossime generazione. Sebastian Coe parla in maniera quasi compulsiva di legacy, come chi sa di avere l’idea giusta e proprio perchè giusta difficile da comunicare. Intende che i Giochi cominciano alla fine, con quello che lasciano al Paese.

Qui lasceranno un quartiere non restituito ad antichi splendori, ma letteralmente fatto nascere secondo canoni moderni: attenzione all’ecosostenibilità, ai trasporti, alla qualità della vita. Qui, dopo le Paralimpiadi, ma grazie alla presenza ai Giochi di Pistorius, il tema è già quotidiano, e proprio l’atleta sudafricano, che si allena a Gemona, dice: «se guardi alla Gran Bretagna vedi che è un Paese all’avanguardia nell’educare la gente sulla disabilità, e nell’aiutare le persone disabili». Infine, secondo Coe, i Giochi lasceranno al Paese, che già ha una straordinaria cultura sportiva, una diversa predisposizione verso la pratica sportiva. E questo si tradurrà, di dovrebbe tradurre nel tempo non tanto in un numero maggiore di medaglia quanto piuttosto in una salute pubblica migliore, tale da garantire un risparmio agli esangui bilanci statali.

Oscar Pistorius

L’Economist, fa notare giustamente Beppe Severgnini, ha fatto le pulci proprio a questa parte del progetto: non è detto che dopo i Giochi la gente pratichi più sport. Però bisogna provare, e questo è il tentativo del mondo, non solo degli inglesi. Michelle Obama sta aiutando la campagna elettorale del marito con i successi del programma Let’s move, persino il Qatar ha un programma contro l’obesità infantile. E bisogna riconoscere che la digitalizzazione dello sport è un aiuto per tutti questi programmi: meno competizione piu’partecipazione, questa l’idea di fondo.


Che ovviamente ha tante traduzioni e declinazioni. Ad esempio, divise sempre più leggere, non solo per favorire la velocità ma anche per ridurre l’impatto sul pianeta della produzione di articoli sportivi. Altro che polemiche tutte americane sul paese di produzione delle uniformi: anche Armani è made in China, non solo Ralph Lauren, ma sono i grandi numeri che fanno la differenza, ovvero i comportamenti dei big dell’articolo sportivo. Nike ad esempio manda in campo Neymar e lo definisce the green est player of the green games: lui brasiliano, dunque in verde e oro, impegno e ambizioni di medaglia, è il giocatore più verde in questi giochi ecologici perchè la sua divisa è stata realizzata riciclando bottiglie di plastica. E persino le scarpe, made in Italy, a Montebelluna, a dimostrazione che le rotte della globalizzazione possono ogni tanto essere invertite, sono realizzate nello stesso modo.

Neymar con la divisa ufficiale del Brasile per le Olimpiadi di Londra

 

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