Non profit
Non profit, 5 buoni motivi per cambiare idea sulla pianificazione strategica
Una mini guida di Marianna Martinoni, docente del corso avanzato Il Piano Strategico per il Fundraising promosso da The FundRaising School che si terrà a Forlì il 24 e 25 maggio 2018
Per una organizzazione non profit la decisione di iniziare a fare fundraisingin modo strutturato può essere l’occasione giusta per iniziare a pianificare in modo strategico. Ma, siamo onesti… dedicare tempo alla pianificazione strategica viene a spesso visto dalle organizzazioni non profit come un lusso che non ci si può permettere, un esercizio di poco conto o una perdita di tempo! Niente di più falso: ecco alcuni buoni motivi per cambiare idea!
Dedicare tempo e risorse per pianificare in modo strategico contribuirà a:
- definire i programmi e le attività, anche in un contesto che cambia di continuo;
- decidere come relazionarsi con il territorio e con i diversi stakeholder;
- capire come coinvolgere i nostri sostenitori, reali e potenziali.
Inoltre, quello dedicato alla pianificazione strategica è il momento ideale per verificare:
- come massimizzare l’impatto che si vuole generare attraverso le proprie attività;
- se davvero stiamo lavorando nel modo giusto;
- se veramente stiamo facendo tutto il possibile per realizzare quella che è la nostra mission.
1. Mission, identità e valori: ripartiamo da qui!
Ebbene sì, lavorare al piano strategico ci darà l’occasione di rimettere a fuoco identità e valoriche sono alla base dell’operare della nostra organizzazione, di verificare se progetti e attività che abbiamo in essere o che sono pronti a partire sono coerenti con quella che è la missiondell’organizzazione.
Sia che siamo un’organizzazione giovane, sia una che opera da 50 anni, una revisione della missione una condivisione aperta di quest’ultima può essere un’occasione straordinaria per rendersi conto del livello di consapevolezza e condivisione internadel motivo che è alla base dell’esistenza stessa della nostra organizzazione non profit.
Un “momento maieutico” dedicato all’analisi della nostra identità, che ci consente di verificare come siamo percepiti e conosciuti all’esterno, permettendoci di misurare in modo critico di quale credibilitàgode la nostra organizzazione all’interno della comunità o del territorio in cui operiamo e qual è ad oggi il livello di notorietàdella nostra organizzazione tra pubblici diversi.
2. Stop al gioco della mosca cieca! Impariamo a conoscere il contesto in cui operiamo e gli attori con cui avremo a che fare
Una volta compiuta questa prima ma fondamentale tappa, è importante fare un’analisi del contesto in cui ci muoviamo: anche esso cambia in fretta e magari tanti elementi sono mutati dall’ultima volta che ci siamo presi del tempo per fare questa fotografia.
Insieme al contesto è opportuno aggiornare di tanto in tanto quella che in gergo viene spesso chiamata la “mappa degli stakeholder”, ovvero la mappa di tutti quei soggetti che con il loro comportamento possono influenzare la nostra organizzazione: un ottimo esercizio da fare a gruppi anche coinvolgendo staff, governancee – perché no? – i volontari della nostra organizzazione.
Individuare gli stakeholder, definirli, posizionarli all’interno di una mappa ci aiuterà a mettere a fuoco eventuali cambiamenti o criticità da risolvere, così come le opportunità che magari non stiamo valorizzando a pieno e che invece potrebbero contribuire ad avvicinare nuovi sostenitori della nostra causa e dei nostri progetti.
3. Capitale relazionale ecompetitor? Il segreto è conoscerli a fondo!
Una buona mappatura degli stakeholder renderà più agile anche il lavoro di definizione del capitale relazionale, ovvero di tutte le relazioni di cui l’organizzazione dispone e di cui dispongono le persone che sono all’interno della nostra organizzazione: da qui emergeranno al momento opportuno contatti da attivare o riattivare, possibili sostenitori da coinvolgere su singoli progetti, grandi o piccoli donatori in grado di attivarsi mettendo a disposizione risorse sia economiche, sia materiali sia professionali a secondo di quella che sarà la nostra esigenza o la nostra richiesta.
Un’ultima nota: tra gli stakeholder è fondamentale anche prendere in considerazione i nostri competitor, quelli più vicini per territorio o per tipologia di attività, dai quali possiamo sicuramente sempre imparare e con i quali è fondamentale confrontarsi continuamente nel corso della vita della organizzazione non profit.
4. La pianificazione strategica: non un gioco, ma un processo di crescita
Fatta questa serie di valutazioni di partenza, a questo punto avremo sufficienti elementi per iniziare a leggere in maniera critica anche la nostra attività quotidiana e per iniziare a ragionare sul senso di una pianificazione strategica.
Un buon piano strategico infatti:
- ci aiuta a mettere a fuoco le priorità,definendo obiettivi strategici e operativi che vogliamo raggiungere, aumentando la possibilità che le nostre attività quotidiane ci facciano raggiungere effettivamente gli obiettivi prefissati;
- ci dà l’occasione per individuare stepe strumenti per monitorare e valutarel’andamento delle varie azioni poste in essere;
- ci costringe a definire come allocare di conseguenza le risorse necessarie a raggiungere gli obiettivi dati, con precise tempistichee un budget, meglio se del tipo “programma per programma” che tenda conto anche dei dati relativi al fundraising e alla comunicazione.
5. Fundraising e Comunicazione: ad ognuno il suo ruolo (e il suo budget!)
A livello organizzativo disporre di una pianificazione strategica a medio o lungo termine ci permetterà di mettere a fuoco se davvero disponiamo delle risorse umane e delle professionalità necessarie per dare buona base al nostrolavoro presente e futuro.
Riorganizzare le nostre attività collegandole a obiettivi strategicie operativiche discendono dalla mission, sarà di stimolo per pianificare anche l’attività di fundraising, individuando precisi obiettivi di raccolta fondi da raggiungere e mettendo a fuoco quello che deve essere un budget adeguato per poter sviluppare il programma di fundraising stabilito.
In questo modo avremo tutti gli elementi per scegliere nel modo più opportuno gli strumenti di raccolta fondipiù adeguati, assicurandoci di essere stati realmente in grado di “rendere facile il donare” aprendo tutti i canali di raccolta fondia nostra disposizione e che rispondano alle esigenze dei donatori che intendiamo coinvolgere e a cui abbiamo scelto di dedicare tempo di qualità per conoscerne caratteristiche e aspettative.
Ultimo aspetto, non meno importante: pianificare in modo strategico passo dopo passo permette inoltre di costruire una strategia di comunicazione a medio lungo termine, commisurata al budget che abbiamo a disposizione e coerente con quella che è la mission e il rapporto con i nostri stakeholder. Il dover pianificare a medio e lungo termine ci costringerà inoltre ad andare a caccia di dati a 360° su progetti, beneficiari, costi, impatti generati nel tempo, tutte informazioni fondamentali per coinvolgere le diverse tipologie di donatori e insostituibili per dare il via libera ad una comunicazione efficace, trasparente e coinvolgente.
Una nota finale, che sta in fondo ma non è meno importante: la pianificazione strategica è un processo che va condiviso: serve allagovernanceper chiarire dove si vuole andare e come ci si vuole arrivare, ma serve soprattutto alle risorse interne dell’organizzazione per comprendere i passi che sta muovendo l’organizzazione non profit di cui sono parte. Avere una strategia chiara – e condivisa – aiuterà tutti a lavorare meglio e sarà il miglior modo per riuscire a trasmettere al vostro staff, ai volontari e ai donorl'attrattiva della missiondella vostra organizzazione.
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