Non profit
Oltre la norma, un’operazione consapevolezza
Il dibattito tra ricercatori e dirigenti
di Redazione
Perché adeguarsi alle previsioni della nuova legge sull’impresa sociale? Quali sono
i vantaggi e gli svantaggi nell’immediato?
Quella che proponiamo è la trascrizione sommaria di un dibattito fra ricercatori e dirigenti di organizzazioni di terzo settore durante una tavola rotonda. Il confronto parte da una questione molto pratica: perché adeguarsi alle previsioni della nuova legge sull’impresa sociale? Quali i vantaggi e gli svantaggi nell’immediato?
«La legge è una grande opportunità che va colta. Molti criticano l’assenza di incentivi fiscali ma vent’anni fa, quando fu approvata la legge sulla cooperazione sociale, c’erano già 2mila organizzazioni che si autodefinivano “impresa sociale” senza alcun sostegno. Si riconosceva che quella forma d’impresa era in grado di cogliere bisogni non soddisfatti, rispondendo con una nuova filosofia di intervento che innovava prodotti e modalità».
«La normativa è abbandonata a se stessa, anche perché, al di là degli incentivi, c’è poco interesse da parte di alcuni importanti stakeholder, ad iniziare dal governo nazionale e a seguire le amministrazioni locali, le Camere di commercio ecc. Molte realtà del terzo settore, poi, non conoscono la legge e anche quelle che ne sono a conoscenza, e magari già operano con veste d’impresa, non vedono un sostegno significativo in termini di sviluppo, anzi paventano il rischio di una colonizzazione da parte di modelli che possono snaturarne l’identità. Una legge non deve solo regolare, deve anche saper promuovere».
«La lettura dei processi di sviluppo dovrebbe essere aggiornata. La realtà attuale è ben diversa dalle condizioni sociali ed economiche di fine anni 80: il sistema di welfare è molto più strutturato nell’offerta di servizi e nelle politiche, più affollato di concorrenti e purtroppo con costi maggiori e minori risorse. Non è riproponibile un’operazione di sostegno allo start-up come è avvenuto grazie alla legge sulla cooperazione sociale».
«Si guarda troppo all’involucro giuridico e poco agli elementi di valore. In molte parti del mondo c’è chi fa impresa sociale a prescindere dalle opportunità della normativa. Il premio Nobel Yunus, ad esempio, che con Danone ha creato un’impresa sociale di capitali senza preoccuparsi troppo del riconoscimento giuridico. Ha fissato una mission di interesse generale: lotta alla fame e alla povertà e si è dotato di un modello imprenditoriale adatto: non lucrativo, ma con un assetto capace di attrarre finanziatori».
«Andrei oltre su questa dimensione del valore, perché mi sembra fondativa. Le imprese sociali devono saper ricomporre in un quadro di significati condiviso, ma anche dentro un sistema organizzativo adeguato, la produzione imprenditoriale di beni relazionali che curano, educano, includono ma producono anche fiducia tra le persone e coesione nelle comunità. E la questione, già di per sé complessa, non si esaurisce dentro i confini della singola impresa, ma coinvolge strutturalmente altri interlocutori esterni».
«Penso che ci sia un potenziale di imprenditorialità sociale ancora inespresso, poco visibile, quasi inconsapevole, guardando sia ai settori di attività che alle forme giuridiche e organizzative. Il binomio cooperazione sociale e welfare rappresenta l’asse portante, la massa critica che consente di rappresentarci come settore, ma l’obiettivo è che l’impresa sociale diventi uno dei modi attraverso cui si può fare attività economica e sociale, arricchendo così il panorama istituzionale del Paese».
Questi appunti, anche se un po’ disordinati, contribuiscono ad approfondire un dibattito che, soprattutto negli ultimi tempi, si è molto accanito sui dettagli normativi per esigenze di applicabilità immediata. “Oltre la norma” quindi, ma non per superarla, ma piuttosto per collocarla in un più ampio orizzonte di opportunità. Agli imprenditori sociali vecchi e nuovi viene richiesta una maggiore consapevolezza rispetto alla dimensione di senso che è propria di questa forma organizzativa e che emerge guardando a ciò che produce e al modo in cui è gestita. Se, come sostengono alcuni osservatori, il valore si concentra sul senso dei prodotti, allora ripartire dai fondamentali dell’impresa sociale può essere la strada per promuovere, anche attraverso elementi normativi e di policy, percorsi di innovazione che riguardano non solo una popolazione di imprese, ma la dimensione della socialità nel suo complesso.
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