Nella crisi umanitaria meno mediatica della storia recente, anche l’intervento delle ong nella zona è molto lontano dai riflettori. Ma non per questo meno importante. E soprattutto, meno indispensabile, in una delle zone più difficili del pianeta, dove però il radicamento delle organizzazioni non governative del nostro Paese è molto forte e spesso costituisce l’unica fonte di aiuto. Nel luglio scorso, si è mossa Agire, l’Agenzia italiana per la risposta alle emergenze che unisce 11 ong italiane, con un appello congiunto di raccolta fondi per garantire i necessari soccorsi e sostenere le attività di emergenza di nove delle dieci ong associate già presenti nei Paesi colpiti. Agire ha raccolto oltre 2 milioni di euro, grazie a una raccolta via sms e ad altre forme di raccolta. Una cifra certo inferiore a quella di altri casi in cui Agire si è impegnata e molto al di sotto di quanto servirebbe per affrontare le molte facce di questa crisi ma, come spiega Marco Bertotto, direttore dell’agenzia, «si è trattato di un problema di visibilità mediatica, è una crisi che esce dai canoni tradizionali dell’emergenza, perché dura nel tempo, non ha l’impennata emotiva su cui si mobilita la solidarietà».
Ciò nonostante, gli ultimi 70mila euro dei fondi raccolti sono stati allocati qualche settimana fa, raggiungendo complessivamente 330mila persone. Nelle prossime settimane l’Agenzia comincerà il suo lavoro di valutazione di impatto dei progetti. Vediamoli nel dettaglio: in Somalia Cesvi, Cisp, Coopi e Intersos si occupano del supporto agli sfollati interni, attraverso la distribuzione di cibo, acqua potabile, medicinali e la realizzazione di servizi igienici e sanitari. In questo caso esclusivamente con personale locale con controllo a distanza da parte delle ong, perché, come spiega Bertotto, attualmente in Somalia a causa della situazione del conflitto interno «è impossibile avere personale espatriato fisso, ma questo non impedisce di fare attività».
In Kenya gli interventi di ActionAid, Amref e Avsi rispondono invece ai bisogni di coloro che dalla Somalia sono fuggiti, cercando aiuto nei campi profughi di Dadaab ma sono anche indirizzati alle comunità keniote colpite dalla siccità nel distretto di Ijara e di Malindi, dove si realizzano attività agricole e igienico sanitarie. Thomas Simmons, direttore di Amref Italia, appena tornato dal Kenya, conferma che l’emergenza, sul fronte agricolo, non è affatto finita: «Quest’anno la stagione delle piogge ha portato buone precipitazioni, ma sono finite troppo presto: i contadini hanno piantato, in molte zone, ma, sappiamo già che in alcuni distretti non ci saranno raccolti. E questo per comunità stremate da tre anni di raccolti scarsissimi è un duro colpo: si teme una situazione 2012 peggiore del 2011. Così sono moltissime le famiglie impoverite che hanno lasciato la terra».
In Etiopia, Save the Children e Vis garantiscono assistenza umanitaria agli sfollati nell’area di Jijiga tramite distribuzioni di beni alimentari e di acqua potabile e realizzano programmi di integrazione alimentare per bambini malnutriti a Dolo Ado Woreda, nella Somali Region. Una regione di confine dove l’instabilità cronica rende molto complicato l’intervento, come racconta Gloria Paolucci, responsabile Paese e coordinatrice dei progetti del Vis in Etiopia: «La tensione è molto alta e la situazione sempre più allarmante. Si sono registrati scontri fra tribù locali sulla strada per Dolo. Nel frattempo stiamo proseguendo con le distribuzioni di acqua tramite camion-cisterna per le comunità di due distretti nell’area di Dembel-Shinile e di Awbere».
L’acqua è al centro degli interventi, resi complicati dalla cronica instabilità della zona. La ong Intervita ha definito un intervento di emergenza per assicurare l’accesso all’acqua e una formazione di base contro la diffusione di malattie a circa 100mila persone nel distretto di Waijr in Kenya, uno dei più colpiti dalla siccità. Anche Sos Villaggi dei bambini si occupa di acqua distribuendo prodotti di depurazione, ma anche cibo. E soprattutto cure. In Somalia, il centro medico temporaneo Sos riceve dai 400 ai 600 pazienti al giorno. Sono più di 7.300 gli sfollati interni curati ogni mese dal personale medico Sos nel campo rifugiati di Badbado a Mogadiscio, per un totale di più di 54mila persone. Grazie a programmi di alimentazione terapeutica e di vaccinazione per curare diarrea, morbillo e malaria, sono stati curati migliaia di bambini e mamme.
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