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Cinema

Oppenheimer, il paradossale alleato del disarmo nucleare

Abbiamo visto "Oppenheimer" di Christopher Nolan insieme a Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete Pace Disarmo. «Si poteva dare qualche spazio in più ai dubbi della comunità scientifica, che pure ci sono stati, anche all’interno dello stesso Progetto Manhattan», dice. «Apprezzo molto il fatto che il film susciti tante domande: questo è già molto interessante e utile»

di Sara De Carli

«Non fatemi mai più incontrare questo piagnone», dice il presidente Truman a un Robert Oppenheimer che sta facendo in qualche modo i conti con la consapevolezza di quello che «il gadget» (così era soprannominata la bomba tra gli scienziati e i tecnici di Los Alamos) ha causato e perciò ha chiesto di incontrarlo. «Mi sento le mani sporche di sangue», dice Oppenheimer. Non spoilero la scena, che a me è parsa la più forte di tutto il film, là dove si incrociano dimensione personale, etica, scientifica e politica. Nell’orecchio però mi sussurrano: «La frase di Truman l’hanno edulcorata».

Abbiamo visto Oppenheimer di Christopher Nolan insieme a Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete Pace Disarmo e autore di Disarmo nucleare (Altreconomia, in uscita l’8 settembre), un volume che ripercorre la storia della corsa a realizzare armi nucleari e del parallelo movimento per il disarmo nucleare, fino alla Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari-Ican che nel 2017 ha ricevuto il Nobel per la Pace per aver “spinto” l’Onu ad adottare nel settembre 2017 il trattato per la messa al bando delle armi nucleari, entrato poi in vigore nel gennaio 2021 con la cinquantesima adesione. La Rete Pace Disarmo, insieme a Senzatomica, è il “braccio” italiano di quella campagna.   

Partiamo dal film, come è giusto che sia. Lei è laureato in astrofisica e poi è diventato un esperto di armi e disarmo. Che cosa ha particolarmente apprezzato nel film?

Del film apprezzo in primo luogo la volontà di inserire i tanti elementi che compongono una situazione complessa come è stata quella del Progetto Manhattan: qualcosa che ha coinvolto davvero tante persone per arrivare alla costruzione delle prime armi nucleari. Non c’era solo Oppenheimer a creare le armi più distruttive mai costruite dall’uomo, che hanno di fatto segnato un salto di qualità nella nostra capacità distruttiva. Mi pare coraggioso questo approccio ed è coraggioso il fatto che il film non sia solo una celebrazione di questa “epopea”, come talvolta capita nell’approccio statunitense, ma mette davvero sul piatto tanti aspetti di questa storia: tante luci, ma soprattutto tante ombre e tante difficoltà.

Che cosa invece non la convince o le pare mancante?

Sicuramente nel film mancano gli effetti reali delle armi nucleari, al di là degli incubi di Oppenheimer. Non solo gli effetti su Hiroshima e Nagasaki, le due città che sono state colpite dalle atomiche, ma anche per esempio sugli stessi luoghi degli Stati Uniti dove è stato fatto il Trinity Test, che non erano così desolati e così assolutamente privi di persone. Ci sono stati problemi per esempio con la successiva “pioggia nucleare”, tutte le problematiche connesse alle radiazioni. Insomma il film forse manca un po’ nel considerare il fallout, cioè l’impatto successivo: quello tecnico, delle radiazioni, ma anche il fallout politico. È chiaro che un film non poteva fare tutto questo, peraltro il film è su Oppenheimer e non sulla bomba atomica. Apprezzo però molto il fatto che si suscitino nello spettatore tante domande: questo è già molto interessante e utile. Domande a cui qualcuno poi potrebbe cercare di dare risposte in futuro, magari attraverso altri film, documentari o libri. 

Francesco Vignarca al Peace Memorial Park di Hiroshima, durante la delegazione della campagna Ican in accompagnamento ai Parlamentari del G7 per il disarmo nucleare (aprile 2023)

C’è un dettaglio che a chi non conosce bene quegli anni e quella storia magari sfugge e che lei invece hai notato?

Penso che si poteva dare qualche spazio in più ai dubbi della comunità scientifica, che pure ci sono stati, anche all’interno dello stesso Progetto Manhattan. Nel film invece i dubbi etici sembrano quasi solo dubbi a posteriori di Oppenheimer e solo di sfuggita si fa riferimento riferimento alla petizione capitanata da Leo Szilard, che chiedeva di non utilizzare la bomba su Hiroshima e Nagasaki ma di farne solo capire gli effetti. Manca del tutto la figura di Joseph Rotblat, l’unico scienziato che abbandonò il Progetto Manhattan, pur essendovi coinvolto fin dalle prime fasi, dopo che la Germania fu sconfitta perché lui – come la grande maggioranza degli scienziati – aveva partecipato fondamentalmente perché aveva paura di Hitler e di una possibile bomba atomica tedesca. Rotblat nel 1995 ha ricevuto il premio Nobel per la Pace per questi suoi sforzi in favore del disarmo nucleare. Forse far vedere anche questo, se vogliamo anche in contrasto alla figura di Oppenheimer, avrebbe potuto darci qualche elemento in più. 

Si poteva dare spazio in più ai dubbi della comunità scientifica, che pure ci sono stati, anche all’interno dello stesso Progetto Manhattan. Manca la figura di Joseph Rotblat, l’unico scienziato che abbandonò il Progetto dopo che la Germania fu sconfitta

— Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete Pace Disarmo

Nel film in effetti arriva molto questa esplicita e ripetuta convinzione degli scienziati sul fatto che la Germania di Hitler fosse vicinissima alla bomba atomica (e quindi c’è l’idea di arrivare prima, per evitare che Hitler la usasse) e dall’altra parte la convinzione che con quell’arma si sarebbe posta fine alla II guerra mondiale e forse addirittura a tutte le guerre. Questa è una speranza che viene evocata esplicitamente. Ora lei accennava a un dissenso all’interno del gruppo del Progetto Manhattan… Si può quindi dire che il movimento per il disarmo nucleare nasce contemporaneamente allo stesso progetto Manhattan?

Sì, è così e credo che sarebbe stato interessante raccontare proprio il fatto che in quella comunità di scienziati ci fossero delle posizioni differenti, così come c’erano nello stesso Oppenheimer, quasi facendo uno specchio narrativo alle sue problematiche morali interne: penso alla celebre frase “Ora sono diventato la Morte, il distruttore di mondi” o alla sua successiva opposizione alla “super bomba”, cioè alla bomba termonucleare, la bomba H… Il disarmo nucleare effettivamente – nel libro lo racconto – nasce nel momento stesso in cui nascono le armi atomiche e all’inizio nasce dagli scienziati, che peraltro erano gli unici in quella fase che potevano sapere davvero di cosa si stesse parlando e capirne gli impatti. Poi continuerà non solo con la società civile ma anche per esempio con tanti medici. In un certo senso l’idea del mio libro ma anche e soprattutto di tutto il lavoro delle campagne per il disarmo nucleare è quella di arrivare a scrivere la fine della storia di queste armi, così come il film di Christopher Nolan invece racconta l’inizio di questa storia. 

L’idea del mio libro ma anche di tutto il lavoro delle campagne per il disarmo nucleare è quella di arrivare a scrivere la fine della storia di queste armi, così come il film di Christopher Nolan invece racconta l’inizio di questa storia. 

— Francesco Vignarca

«Sapevano che testare la bomba atomica avrebbe potuto portare alla distruzione del mondo. Ma hanno premuto lo stesso quel pulsante. Volevo portare il pubblico lì, in quella stanza», ha detto Christopher Nolan. È chiaro che dal punto di vista della narrazione questa scena è potentissima. Però siamo qui a raccontarla e farci un film perché “la scommessa” è andata bene. Nel film c’è Enrico Fermi, in quella notte prima del Trinity Test a Los Alamos, che raccoglie ancora scommesse circa la possibilità della distruzione completa del mondo, pur quantificata dai calcoli teorici fatti dai colleghi come “vicina allo zero”. Lei scrive che «il fatto che il test sia stato condotto nonostante non si potesse escludere una possibilità così devastante è profondamente inquietante. E significativo: come si è potuto decidere di correre un rischio così terribile?». Ecco, questa domanda ci porta a oggi, con la guerra fra Russia e Ucraina che ha visto il ritorno delle minacce a sfondo nucleare. Probabilmente oggi la consapevolezza delle conseguenze è più precisa, comprese quelle dell’inverno nucleare che si genererebbe, eppure nel 2023 “l’orologio dell’apocalisse” segna 90 secondi alla mezzanotte: non ci siamo mai stati così vicini, da quando l’orologio dell’Apocalisse è stato “inventato” 75 anni fa. Perché la logica della deterrenza – che è stata a lungo il perno dei ragionamenti sulle armi nucleari – secondo lei non tiene?

Il problema è esattamente questo, che purtroppo i dubbi che c’erano quella notte di luglio del 1945 in quella stanza nel deserto del New Mexico, sono gli stessi di adesso. Magari i dubbi non sono più legati tecnicamente alla reazione a catena che avrebbe potuto incenerire tutta l’atmosfera terrestre ma al fatto che nessuno sa veramente quali potrebbero essere gli impatti di una guerra nucleare e di un ordigno nucleare molto più potente di quelli utilizzati a Hiroshima e Nagasaki. Tra l’altro quasi non sappiamo nemmeno cosa è successo veramente e quali sono stati gli impatti a lungo termine dei due ordigni usati in Giappone più di 75 anni fa. È veramente un rischio, anche oggi e un rischio così terribile… Il problema è che allora come oggi si gioca col fuoco. L’idea del libro da cui è stato tratto il film, American Prometheus, mette al centro proprio questo Prometeo che scopre il fuoco e che perciò viene tormentato. Questo ancora rimane e sarebbe importante dare più voce a tutte le persone che hanno dei dubbi sul nucleare e sulla logica della deterrenza, che non funziona perché è una logica chiusa: non funziona nel mondo in generale e in particolare non funziona durante una guerra. Siamo stati finora fortunati, però non possiamo rischiare il mondo e l’umanità intera sulla “fortuna”. 

Robert Oppenheimer a Princeton, nel dicembre 1957. Foto AP Photo/John Rooney

Nolan in un’intervista ha detto: «Ritengo attualissime le domande che Oppenheimer si poneva sulle potenzialità della scienza e sui pericoli per l’umanità. Per me è importantissimo che il film generi discussioni sui conflitti che genera la politicizzazione della scienza». Immagino che lei da un film sul “padre della bomba atomica”, con così tanta eco, si aspetti innanzitutto che si generi un dibattito culturale sul pericolo che le armi nucleari rappresentano ancora oggi. Ma questo cosa vuol dire concretamente? Cosa spera che accada?

Concordo con Nolan, la cosa importante di questo film è diffondere domande, anche attraverso la figura di Oppenheimer. Uno dei temi più belli del film – soprattutto per chi si occupa delle questioni del disarmo con anche una formazione scientifica, come me – è proprio la connessione per la scienza e la politica: come la politica prova a manipolare la scienza e come la scienza crede di non farsene manipolare perché si crede “più intelligente” ma in realtà poi non vede tanti aspetti e comunque fa fatica a gestire tutte le conseguenze dopo aver aperto il vaso di Pandora. Come è successo allo stesso Oppenheimer. Questo è importante. L’importante è che si generi questo dibattito culturale sul pericolo delle armi nucleari ma direi anche sul pericolo dei “Progetti Manhattan” di oggi.

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E quali sono i “Progetti Manhattan” di oggi?

In particolare io vedo il tema della connessione tra le intelligenze artificiali e gli armamenti. Quello è il “Progetto Manhattan” di oggi, certamente in un contesto diverso, molto più aperto. L’unico modo per bloccare le derive pericolose di questi scenari è quello di un controllo allargato, della trasparenza e di una risposta collettiva. In tutti i percorsi di disarmo nucleare la risposta che abbiamo sempre proposto è una scelta collettiva e consapevole dell’umanità, per mettere fuori dalla storia le uniche armi che potrebbero mettere l’umanità stessa fuori dalla storia.

L’importante è che si generi un dibattito culturale sul pericolo delle armi nucleari ma direi anche sul pericolo dei “Progetti Manhattan” di oggi, a cominciare dalla connessione tra le intelligenze artificiali e gli armamenti. L’unico modo per bloccare le derive pericolose di questi scenari è quello di un controllo allargato, della trasparenza e di una risposta collettiva.

— Francesco Vignarca
Albert Einstein (Tom Conti) e J. Robert Oppenheimer (Cillian Murphy) – Universal
Universal
Lewis Strauss (Robert Downey Jr) – Universal
Oppenheimer è scritto e diretto da Christopher Nolan – Universal
1/5

La Rete Pace Disarmo è stato il “braccio” italiano della Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (Ican) che nel 2017 ha ricevuto il Nobel per la Pace proprio per aver “spinto” l’Onu ad adottare il Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons-Tpnw che è entrato in vigore nel gennaio 2021, con il 50esimo paese che vi ha aderito. Quali Paesi oggi possiedono armi nucleari, quante sono?

Ad oggi i Paesi con armi nucleari sono nove. Cinque sono i Paesi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che hanno un seggio permanente e che le possono possedere secondo il Trattato di non proliferazione degli anni ‘70: quindi Stati Uniti e Russia, che da sole hanno più del 90% delle testate attualmente attive, Cina, Francia e Gran Bretagna. Le altre quattro potenze non ufficialmente nucleari sono India e Pakistan (e questo è un grosso pericolo perché sono in guerra tra loro), Israele e Corea del Nord, che dovrebbe avere delle testate ma non ha ancora i reattori per dispiegarle. Quindi siamo in una situazione molto meno problematica rispetto alle oltre 70mila testate presenti alla fine della guerra fredda, ma abbiamo pur sempre 12.500 testate tra quelle attive e quelle ritirate ma non ancora del tutto cancellate nella loro operatività… e programmi di ammodernamento e di riarmo sono in corso. Potrebbe davvero distruggere l’umanità svariate volte.

Una tabella pubblicata nel volume “Disarmo nucleare” (Altreconomia), di Francesco Vignarca

Nessuno dei Paesi che possiede armi nucleari ha aderito al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari. Anche l’Italia non lo ha fatto. Qual è allora l’utilità e l’importanza del Tpnw e come prosegue quindi il lavoro di Ican, con quali prossimi obiettivi?

Il lavoro principale della campagna internazionale Ican è proprio quello di universalizzare il Trattato, cioè di fare in modo che un domani tutti gli Stati lo firmino e di conseguenza tutti si liberino delle armi nucleari mettendo in pista – ed è questa la cosa importante di questo Trattato – tutta una serie di meccanismi di controllo. Quello che vorrei far capire è che il Tpnw non è solo un testo che dice “basta armi nucleari”, ma si dispiega in tante dinamiche concrete: per esempio c’è la parte di assistenza alle vittime, di assistenza e riparo ambientale per i territori che hanno subito i test nucleari: ricordiamo che non ci sono solo Los Alamos e le due bombe sganciate sul Giappone, ma nei cinque decenni trascorsi fra il Trinity Test e il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari del 1996 sono stati effettuati oltre 2mila test in tutto il mondo. Una cosa importante è che nel 2022 a Vienna i Paesi che fanno parte del Tpnw hanno elaborato insieme un piano in 50 punti, molto concreto, per l’attuazione del Trattato: per cui l’azione di Ican non è solo quella di fare in modo che sempre più Paesi aderiscano al Trattato ma anche di avvicinare i Paesi che ancora non lo vogliono o non lo possono firmare ad alcuni “pezzi” del Trattato ad alcune parti di questo piano di azione. Tutti i Paesi dicono di voler realizzare il disarmo nucleare e peraltro praticamente tutti i Paesi sono nel trattato di non proliferazione che prevede un percorso di disarmo: la stessa Nato dice “vorremmo un mondo libero delle armi nucleari”. il punto è come fare. Allora se non volete firmare subito il Trattato, avvicinatevi ad un’azione. Anche l’Italia dovrebbe avvicinarsi, non solo partecipando come osservatore alla conferenza degli Stati parte (cosa che non ha fatto purtroppo l’anno scorso a Vienna) ma anche impegnandosi per esempio sul lato umanitario di assistenza alle vittime: ricordo che l’Italia ha una grandissima tradizione nella cooperazione. Al Governo e al Parlamento stiamo chiedendo di allinearsi a quello che è il volere della stragrande maggioranza dei nostri concittadini. 

Oggi siamo in una situazione molto meno problematica rispetto alle oltre 70mila testate presenti alla fine della guerra fredda, ma abbiamo pur sempre 12.500 testate nucleari nel mondo

— Francesco Vignarca

Che cosa significa – come scrive nell’introduzione al suo libro Beatrice Finn, che è stata la direttrice esecutiva di Ican – che i Paesi non nucleari non possono più accontentarsi del ruolo di “spettatori moralizzatori” ma che hanno un altro ruolo nella moderna campagna per il disarmo nucleare?

Così come l’entrata in scena della società civile ha fatto nascere l’idea della Croce Rossa Internazionale, così l’affermazione che noi non potremmo mai gestire le conseguenze di una guerra nucleare e che pertanto l’unica soluzione è mettere le armi nucleari fuori dalla storia ha messo in pista l’azione della società civile su un tema che invece tradizionalmente era stato considerato appannaggio esclusivo delle grandi potenze, nel perimetro della strategia delle relazioni internazionali. Questo invece ha fatto in modo che si muovessero anche i Paesi non nucleari e non parte di alleanze nucleari, soggetti che erano sempre stati visti come marginali: “Voi non avete armi nucleari, non potete entrare nel discorso”. No, devono entrare nel discorso e anzi sono proprio questi Paesi che hanno avuto un ruolo importantissimo nell’arrivare al testo del Trattato nel 2017 e che oggi hanno il ruolo di mettere in pista tutte quelle procedure anche pratiche, quelle articolazioni che permetterebbero davvero la messa al bando delle armi nucleari. Questo è veramente un cambiamento, perché esercita una pressione maggiore sulle opinioni pubbliche e sugli altri Paesi. Permette soprattutto di eliminare l’argomento-fantoccio per cui chi è favorevole al nucleare ha sempre detto “non si può fare, non c’è alternativa”: no, oggi quei Paesi insieme alla società civile stanno costruendo un’alternativa concreta. Questo cambia anche la posizione Paesi che hanno le armi nucleari, che oggi non possono più dire semplicemente “sarebbe bello ma non si può fare”: il Trattato oggi li costringe a dire “ci sarebbe la strada ma noi decidiamo di non seguirla”. Purtroppo, aggiungo io.

La copertina del nuovo libro di Francesco Vignarca, in uscita l’8 settembre

Torniamo a Oppenheimer: questo film secondo lei è un possibile, forse paradossale, “compagno di strada” per la vostra campagna per mettere al bando le armi nucleari?

Tutti i film, i documentari, gli articoli che fanno ragionare in maniera profonda – e Oppenheimer senza dubbio lo fa – sul tema delle armi nucleari possono essere compagni di strada. Proprio perché come dicevo il primo punto è quello di allargare nella società civile la conoscenza, le informazioni, avere una maggiore consapevolezza del pericolo delle armi nucleari, del pericolo esistenziale che esse rappresentano per l’umanità. Sicuramente considero positivo questo film, è fatto bene e pur avendo pezzi che mancano (ma già dura tre ore, di più sarebbe stato difficile) mette sul piatto tanti dilemmi. Credo che possa davvero suscitare in molte persone la volontà di approfondire, di capire. Ecco magari va integrato con la storia dei percorsi del disarmo nucleare e la storia di quanti (a partire dalla comunità scientifica) sono stati da subito consapevoli di questo problema e hanno speso la loro vita e la loro attività per cercare di risolverlo.

Nella foto di apertura, Matt Damon e Cillian Murphy in una scena dell’Oppenheimer di Christopher Nolan (Universal)


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