Politica

Orlando: l’Europa riconosca la specificità delle imprese del Terzo settore

«La normativa comunitaria sul lato fiscale lo considera ancora al pari di imprese non sociali. Intendo farmi carico personalmente affinché la Commissione si attivi su questo, perché quello dell’UE non rimanga un riconoscimento astratto, ma si traduca concretamente anche in politiche economiche e fiscali adatte alla natura dell’economia sociale». Il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali scrive a VITA

di Andrea Orlando

Il Terzo Settore sta acquisendo un ruolo sempre più significativo nel tessuto socioeconomico italiano. È un bacino che raccoglie moltissime realtà volte a svolgere attività di interesse generale, senza perseguire finalità lucrative. Le loro attività spaziano dai servizi sociali alla sanità, dalla cultura all’inserimento lavorativo, dall’housing sociale alla protezione civile, dallo sport alla cittadinanza attiva – abbracciando competenze sia a livello statale che regionale. Si tratta di un universo vario e in rapida crescita, con una diffusione capillare sul territorio e forte capacità di generare occupazione – spesso anche in controtendenza rispetto ad altri settori economici. L’ultima rilevazione ISTAT ha evidenziato che le istituzioni non-profit attive in Italia sono quasi 360mila e, complessivamente, impiegano più di 850mila dipendenti, ai quali si aggiungono oltre 5.5 milioni di volontari.

Questi dati suggeriscono l’importanza di un settore che anche a livello europeo si sta dimostrando sempre più presente. Sono infatti oltre 11 milioni i dipendenti nell’economia sociale dell’UE, dove circa 1 impresa su 10 fa parte del terzo settore. C’è piena sintonia con i colleghi europei sull’importanza di sviluppare questa realtà: si tratta di un tema di cui ho discusso in particolare con la Ministra spagnola Yolanda Díaz in un nostro incontro, il Commissario Schmit ha recentemente affermato che “l’economia sociale dovrebbe essere al centro di una strategia di crescita inclusiva”. L’UE ha progressivamente riconosciuto infatti la resilienza e la prossimità del Terzo Settore ai bisogni dei cittadini, tuttavia la normativa comunitaria sul lato fiscale lo considera ancora al pari di imprese non sociali. Intendo farmi carico personalmente affinché la Commissione si attivi su questo, perché quello dell’UE non rimanga un riconoscimento astratto, ma si traduca concretamente anche in politiche economiche e fiscali adatte alla natura dell’economia sociale, con un preciso ruolo valorizzato nel mercato unico europeo.

Proprio durante la pandemia abbiamo avuto testimonianza di questa unicità, grazie al grande sforzo compiuto dagli Enti del Terzo Settore (ETS) e dai loro volontari. La loro diffusione capillare sul territorio si è dimostrata fondamentale per la tenuta sociale del Paese, e la loro capacità di ascoltare in tempo reale le esigenze che provengono dai cittadini ha consentito loro di reagire rapidamente in prima persona e anche di mettere a disposizione degli enti pubblici preziosi dati informativi. Il loro ruolo nella fase di ripresa sarà altrettanto importante, grazie al loro enorme patrimonio di persone, impegno civico e competenze.

Questa necessità che l’azione della Pubblica Amministrazione (PA) sia concepita e sviluppata in forma integrata con i soggetti dell’economia sociale richiede il coinvolgimento attivo di tutti i livelli interessati. Per questo, a seguito dell’intesa sancita nell’ultima conferenza unificata, ho firmato il Decreto di adozione sulle linee guida sul rapporto tra le PA e gli ETS. È stato il punto di arrivo di un percorso di collaborazione tra Ministero, Regioni, enti locali e Terzo Settore che ritengo prezioso. A livello centrale ci stiamo impegnando per avviare a breve, in collaborazione con ANCI, un programma di formazione per funzionari comunali e regionali e per quadri delle organizzazioni sociali. Mi appello però anche agli ETS stessi, affinché rivendichino in tutte le sedi il loro ruolo di co-programmazione e co-progettazione delle politiche pubbliche. La pubblica amministrazione deve ricevere questa salutare “scossa” e il Terzo Settore può darla grazie alla sua capillarità.

Dobbiamo poi guardare anche al futuro e potenziare il Terzo Settore per renderlo pronto a gestire le sfide di domani. Questo processo non può prescindere dal sostegno all’innovazione, che richiede potenziamento all’interno delle varie organizzazioni, con particolare riguardo alle reti associative che a loro volta possono sviluppare la successiva attività supporto tecnico nei confronti degli ETS associati. Questo potenziamento serve perché serve un coinvolgimento del Terzo Settore in più ambiti di complementarietà con l’apparato statale, come per esempio nella risocializzazione degli anziani, su interventi e casistiche per le quali cui le strutture pubbliche non riescono a entrare altrettanto in profondità nel tessuto sociale.

Il Terzo Settore può essere un alleato prezioso anche per le nuove generazioni, sia offrendo veri e propri servizi di ascolto e assistenza per il disagio dei giovani utenti, sia consentendo l’inserimento dei giovani nel tessuto socio-economico attraverso percorsi di volontariato, servizio civile o vere e proprie carriere lavorative. Su questo bisogna sensibilizzare il sistema universitario, perché la centralità del ruolo dell’economia sociale richiede quadri adeguatamente formati, e al tempo stesso gli ETS possono rappresentare una scelta lavorativa attrattiva per le nuove generazioni.

Accanto a un pubblico meglio organizzato e più incisivo, serve un Terzo Settore che arrivi dove lo Stato, per sua rigidità, non riesce ad arrivare. Bisogna progettare uno sviluppo di lungo periodo, che si costruirà metodologicamente grazie alla collaborazione tra i vari livelli interessati al coinvolgimento dei cittadini: gli enti e loro rappresentanze, i centri di servizio per il volontariato, gli ordini professionali, le istituzioni universitarie ed enti di ricerca, le Regioni e gli enti locali. Si tratta di un percorso fondamentale per il nostro futuro, e per questo considero gli ETS un elemento di attenzione costante, riconoscendo la loro centralità nella crescita economica, sociale, politica e culturale della Repubblica.

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