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Chiesa ortodossa

Padre Uminskij sospeso a divinis perché pacifista?

L’antivigilia del Natale ortodosso, il patriarcato di Mosca ha sospeso «a divinis» padre Aleksej Uminskij, uno dei parroci più autorevoli della capitale che tanto si è speso contro la guerra in Ucraina. Il racconto di Marta Dall'Asta per “La Nuova Europa”. Già ottomila cittadini hanno firmato una lettera al patriarca Kirill contro la rimozione del sacerdote

di Marta Dell'Asta

padre Aleksej Uminskij nella sua parrocchia a Mosca

Il 5 gennaio, antivigilia del Natale ortodosso, padre Aleksej Uminskij, uno dei parroci più famosi e autorevoli di Mosca, è stato doppiamente colpito dall’autorità ecclesiastica: privato della parrocchia che reggeva da 30 anni è stato anche sospeso «a divinis». Una misura gravissima, in pratica l’azzeramento di un’intera vita pastorale e del ministero sacerdotale.

L’accusa per la quale il sacerdote è stato chiamato anche a comparire di fronte tribunale diocesano di Mosca è quella di «cattiva condotta ecclesiastica dovuta al rifiuto di recitare la preghiera prescritta per la Santa Rus’ durante la divina liturgia». Il riferimento è alla preghiera speciale imposta durante le funzioni religiose dal capo della Chiesa ortodossa russa, il patriarca Kirill, una formula che padre Alexey Uminsky si ostina a non voler pronunciare. La sua colpa è quella di non volersi rassegnare in alcun modo alla guerra di Putin all’Ucraina: dal febbraio di due anni fa, quando iniziarono i bombardamenti su Kiev, continua a ripetere di non poter sostenere in alcun modo le operazioni militari del Cremlino. «Prego per la pace tra i nostri popoli e tra le nostre chiese, prego che tutto questo finisca il più rapidamente possibile e che venga colpito il minor numero di persone», ribadisce nei suoi sermoni. 

A rendere ancora più pesante, e quasi derisoria la sanzione, è stata la scelta del suo sostituto, che già il giorno seguente ha preso in mano le redini della parrocchia: quel padre Andrej Tkačev sacerdote ucraino transfuga in Russia dal 2014, noto per gli ardenti sermoni televisivi, militarista e sostenitore della «triunità» di russi, bielorussi e ucraini. Lo strappo è tanto più grave perché colpisce non solo la persona di padre Uminskij, ma con lui anche le migliaia di fedeli, malati e loro parenti che a lui si affidavano (padre Aleksej era tra l’altro molto impegnato nel sostegno di varie iniziative di solidarietà sociale): «La vicenda di padre Uminskij è innanzitutto un’immensa tragedia personale per un gran numero di persone», ha detto il biblista ortodosso Andrej Desnickij.

Qualcuno (come l’agenzia Rosbizneskonsalting) ritiene che la causa siano le sue dichiarazioni pacifiste e antimilitariste, altri citano specificamente l’intervista rilasciata da Uminskij a Venediktov, ex direttore di radio Echo Moskvy e «agente straniero», l’11 novembre scorso, in cui padre Aleksej suggeriva ai fedeli in crisi di coscienza di fronte alla propaganda bellicista di cercare dei sacerdoti che non facciano dichiarazioni militariste e non preghino per la vittoria. Pare che il vescovo Pitirim di Skopin e Šack abbia definito queste parole come «metastasi dell’infezione terribile del liberalismo che è penetrata nella nostra Chiesa e uccide la nostra patria». Del resto nel recente passato il pacifismo è già stato dichiarato «incompatibile con la dottrina ortodossa».

(…).

Il suo amico Aleksandr Archangel’skij dice: «Il nostro caro padre Aleksej Uminskij è stato licenziato come parroco e sospeso “a divinis”; questo solo fatto ferisce un numero enorme di persone. Ma coloro che hanno preso la decisione hanno cercato di ferire ancora di più, programmandola per Natale, in modo da rovinare la festa, e hanno sostituito padre Aleksandr con Tkačev, persona incompatibile con la parrocchia, per cercare di rovinargli il fegato. Inutile domandarsi se il sadismo morale sia compatibile con la predicazione di Cristo».

(…)

Ma forse il giudizio più generale è stato dato da Svetlana Panič, che ha colto nell’attuale provvedimento il frutto della cultura civile ufficiale, che non pare capace di indicare una via di uscita dalla dialettica odio-umiliazione, una dialettica che nasce da un senso di umiliazione per la fine dell’impero e della sua potenza e non sa rispondere all’umiliazione se non con l’odio del nemico:

«Per quanto ne capisco, è stato accusato di aver concesso un’intervista a un “agente straniero”. Ma è probabile che il motivo sia più profondo. A chi ha preso la decisione di sospendere “a divinis” padre Aleksej Uminskij non gliene frega niente della teologia dogmatica dei primi Concili, sulla quale, per altro, si regge l’«ortodossia» universale. Del resto, ho il sospetto che questa gente non la conosca neppure la teologia, o la conosca come l’impiegato sovietico medio conosceva le opere di Marx. …Questa gente se ne frega delle Costituzioni apostoliche e delle norme canoniche, eccezion fatta per un limitato numero di norme utili per la loro malleabilità, che servono a coprire la sua vergogna.

Se ne frega anche della teologia liturgica, altrimenti leggerebbe attentamente i testi natalizi, che dissacra col solo pronunciarli, e, magari, compirebbe la semplice operazione mentale che permette di individuare l’incoerenza con gli inni del Natale in cui si parla di “luce della ragione”…

Padre Aleksej Uminskij non solo ha creato una delle migliori parrocchie di Mosca, libera, davvero evangelica, ma ha compiuto quella che madre Marija Skobcova chiamava “la liturgia nel mondo” che usciva dai confini delle mura del tempio e abbracciava tutta la realtà, e prima di tutto i più vulnerabili, come i bambini dell’hospice…: non si trattava di un semplice “servizio sociale”, e neppure della beneficenza prescritta, ma ricostituiva, affermava la dignità di quanti entravano nell’orbita della sua vita prodiga e radiosa.

Da alcuni decenni l’attuale governo russo ha formato (e forma tuttora), prima furtivamente poi apertamente, la cultura dell’umiliazione. La Chiesa ufficiale vi prende parte attiva, sostituendo il culto dell’umiliazione alla libertà evangelica, alla beatitudine dei poveri di spirito, dei miti, degli afflitti, come pure ai concetti evangelici di obbedienza e umiltà. Dal punto di vista teologico si tratta di pura eresia che contraddice in pieno il dogma dell’Incarnazione; dal punto di vista sociale è una manipolazione criminale. Padre Aleksej è stato tra i pochi che si sono costantemente opposti a questa contraddizione: ad esempio, si è ribellato fattivamente contro l’umiliazione della sofferenza sostenendo l’hospice e la sua lotta per le cure palliative…

E tutto questo l’ha fatto con semplicità, in modo luminoso, impavido, toccante, generoso, confortante, come un immenso abbraccio. Penso che la cultura dell’umiliazione imputi a padre Aleksej proprio questa vita in pienezza che si dona evangelicamente senza misura, questo rifiuto di trasformare il messaggio di speranza nella religione tribale di un lugubre idolo guerriero. Questa cultura guarda con sospetto l’abbraccio, anzi lo considera reato perché solleva dall’umiliazione, ridona dignità ai “figli di Dio”. L’intervista concessa all’”agente straniero” è solo una scusa.

Ora questa cultura sembra quasi onnipotente, ma il male metafisico che la genera nelle sue forme fisiche e visibili non è capace di creare qualcosa di nuovo. È stupido, sterile e dunque condannato».

P-S. Sono già oltre ottomila i cittadini russi che hanno firmato la lettera aperta al patriarca ortodosso Kirill in difesa dell’arciprete Alexey Uminsky, con la richiesta di riconsiderare la decisione di bandirlo dal suo ministero rimuovendolo dalla canonica della chiesa moscovita della Trinità Vivificante.

L’articolo integrale qui


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