Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Politica & Istituzioni

Padron Dini, ora si sciopera

I lavoratori del ministero si sono fermati. Protestano contro lo sfascio della macchina italiana per gli aiuti e lo sviluppo, e contro chi li tratta da sudditi. E il Parlamento? Aspetta

di Paolo Giovannelli

«Basta lavorare così! Adesso si sciopera». Metalmeccanici? Ferrovieri? Cobas della scuola? Macché. Chi protesta questa volta sono i tecnici della cooperazione governativa allo sviluppo. Incredibile ma vero, ed è la prima volta che accade. Segno evidente che proprio non se ne può più, che il vapore Cooperazione Italia ha caldaie ormai spompatissime. E che il naufragio, se non ci fosse l?impegno quotidiano dei suddetti lavoratori in ?sala macchine?, sarebbe già avvenuto. La legge 49/87 in materia – che oggi appare globalmente stantia e che nelle parti dove potrebbe ancora non esserlo è stata ampiamente disattesa – sta ormai alla macchina amministrativa della cooperazione italiana come un mediocre software caricato su un antidiluviano calcolatore elettronico della prima generazione. Provate a lavorarci, se ne siete capaci. Anche questo sciopero formalmente indetto dalla Cgil dimostra dunque, se ancora ce ne fosse bisogno, l?urgenza del riassetto della cooperazione allo sviluppo italiana, in particolar modo per collaborare con i Paesi da cui proviene quell?immigrazione che oggi tanto preoccupa. Se così non sarà, il protrarsi della paralisi gestionale-amministrativa della Farnesina, vigente dall?era degli scandali della prima Repubblica in poi e affiancata al drastico ridimensionamento degli stanziamenti per l?Aiuto pubblico allo sviluppo, confermerà ulteriormente che la cooperazione tricolore può essere geneticamente legata solo all?affarismo. Non a caso, infatti, chi lo scorso 25 novembre ha scioperato di fronte a Montecitorio (circa sessanta lavoratori) rivendicava – così si leggeva in un comunicato – anche «l?esercizio sistematico e continuo da parte del Parlamento del ruolo di vigilanza e di controllo sulla coerenza delle attività di cooperazione e sulla efficacia degli strumenti utilizzati». Come a dire: bisogna stare in campana, perché qui anche se non si fa più niente il rischio di sperpero di pubblico denaro resta comunque elevatissimo. Le commissioni Esteri di Camera e Senato e quella di tutti i gruppi politici sono state pertanto sollecitate a mettere immediatamente all?ordine del giorno la discussione delle numerose proposte di riforma della cooperazione già depositate in Parlamento. Con quali risultati? Spiega Eduardo Missoni, uno dei portavoce dei manifestanti: «Siamo stati ricevuti da diversi parlamentari. L?onorevole Giuseppe Gambale (Sinistra democratica, ndr), primo firmatario di una delle proposte di riforma, ci ha raggiunto in piazza. Poi siamo stati accolti dal presidente della commissione Esteri del Senato, Gian Giacomo Migone, che però ha cercato solamente di temporeggiare, quasi a voler dare una ulteriore chance al ministro Dini e a Rino Serri». Ma quale ruolo riveste nella attività di cooperazione chi ha protestato, chi ha ricordato al ministro degli Esteri e al suo sottosegretario le tante promesse fatte in favore di una riforma che sarebbe dovuta giungere entro il 1997, e che oggi è giusto una favola raccontata al mondo del volontariato internazionale e agli stipendiati dalla Direzione generale della cooperazione allo sviluppo? I tecnici della cooperazione italiana sono esperti con spesso alle spalle personali esperienze di volontariato in Paesi del Sud del mondo. Valutano la fattibilità dei progetti di sviluppo e di emergenza (oltre a seguirne la gestione) per la cooperazione governativa ed esaminano quelli presentati dalle organizzazioni non governative alla Farnesina. Ma nonostante il loro impegno, al ministero degli Esteri non hanno neppure una stanza per ufficio: li hanno relegati in alcuni contaneir al 25 di via Luigi Contarini, a due passi dalla severa imponenza del bianco palazzo abitato da Lamberto Dini. Li chiamano i ?terremotati della Farnesina?. E molti di loro, contrattisti la cui elevata professionalità viene lasciata languire, non hanno nessuna garanzia di continuità d?impiego.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA