«Le liste civiche, che stanno proliferando ovunque, non sono un fenomeno nuovissimo», premette il presidente dell’istituto di ricerca Ipsos, Nando Pagnoncelli. «Rispetto al passato, alcuni elementi di continuità e alcune differenze».
Per cercare di fare un po’ d’ordine in questo panorama che rischia di essere caotico, cominciamo dai primi.
In molti Comuni, specie dove c’è una contrapposizione molto tesa con gli avversari, le liste civiche sono usate per facilitare il dialogo con gli elettori dell’altro schieramento, per intercettare i voti altrui. Le novità sono invece connesse al sentimento dell’antipolitica. Un sentimento che c’è sempre stato ma non si era mai visto a questi livelli. Per questo capita che i partiti tradizionali vogliano creare una disomogeneità rispetto al passato, vogliano rendere difficile il confronto ad esempio con le elezioni precedenti e perciò si affidino alle liste civiche, assenti in quelle tornate.
Un escamotage, insomma…
Che però nei centri piccoli, dove ci si conosce di persona, non funziona. Qualche rischio può esserci nei centri più grandi. In generale però direi che è finita la stagione dei professionisti prestati alla politica. Nel senso che i cittadini mi pare vogliano competenza e valori, cioè candidati capaci di esprimere una progettualità ispirata a valori dichiarati. I candidati devono dire, ad esempio, che città hanno in mente.
Ma questo non è il contrario dell’antipolitica?
In un certo senso sì. Direi che è una conseguenza dell’accentuazione eccessiva del pragmatismo. Nel recente passato abbiamo visto una convergenza fra il partito del fare e gli interessi molto individuali che gli elettori tendevano a premiare. Sicché i partiti politici prendevano delle scorciatoie… Si ricorda i cosiddetti “imprenditori della paura”? Ora ci sono segnali importanti del fatto che i cittadini pensano che la politica debba avere progettualità.
C’entra la crisi economica?
Senz’altro ha accelerato l’urgenza. I cittadini accettano sacrifici e rinunce, ma contemporaneamente percepiscono il desiderio di uscire dal presente in cui tutto è ingessato. Dal canto loro i partiti, imprigionati dalla ricerca del consenso immediato, non sanno interpretare né dare risposte alla richiesta di competenza e valori espressa dai cittadini. I quali, appunto a causa della crisi, non sono sono più disposti a tollerare gli eccessivi privilegi. Attenzione però a non beatificare il Paese, contrapponendolo ai suoi dirigenti.
Cioè?
La politica è in larga parte lo specchio del Paese. E l’antipolitica deresponsabilizza i cittadini. Ciascuno deve assumersi le sue responsabilità, compreso chi fino a ieri ha pensato ai fatti propri e oggi rivendica il bene comune.
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