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La cultura che vogliamo

Perché abbiamo preso sul serio la pantomima del duello Zuckerberg vs Musk al Colosseo

C’è da chiedersi perché una proposta costruita per creare un effetto di visibilità strumentale, sia diventata un “argomento” politico, economico e culturale. Un meccanismo però geneticamente incapace di generare crescita e partecipazione

di Paolo Venturi

Il mercato è sempre stato un’arena, ma quello che è successo in questa calda estate fra i due titani del capitalismo delle piattaforme, Elon Musk e Marc Zuckerberg merita una riflessione. Passiamo velocemente ai fatti. Due delle persone più ricche del mondo annunciano la loro volontà di sfidarsi in un combattimento in una città italiana (magari Roma, magari al Colosseo), come a voler far riemergere dopo 2.000 anni l’interesse intorno ai combattimenti dentro gli anfiteatri romani.

La notizia, come tutti i fuochi di paglia vacanzieri, si accende a giugno e in pochi istanti occupa tutti gli spazi di informazione possibili. Uno tsunami mediatico che si è spento solo pochi giorni fa quando Musk ha declinato l’invito del ministro della Cultura italiano Gennaro Sangiuliano (qui sopra nella foto del ministero della Cultura), dicendosi dispiaciuto di non poter realizzare «un evento di intrattenimento culturale pensato per promuovere la storia dell’Antica Roma e per fare beneficienza». Il tutto potrebbe essere derubricato come una delle tante “bombe mediatiche” estive ma andando in profondità non possiamo non censurare l’impatto che tutto ciò ha generato nelle nostre istituzioni e nei livelli più alti della nostra politica.

Tre fatti a dimostrazione di quanto detto.  L’interesse e la disponibilità del nostro ministro della Cultura a realizzare l’evento in una sede adeguata. La corsa di molti sindaci e presidenti di regione italiani nel proporre la propria candidatura per ospitare il duello a “singolar tenzone” da mandare in onda sui canali social di tutto il mondo. Ultimo indizio che ci fa uscire dal mero gossip è l’eco mediatica che si è generata, come certifica l’apertura del TG1 delle 20 di sabato 12 agosto, con l’immagine di Musk e Zuckerberg vestiti come personaggi della Marvel (un’apertura poi seguita da eventi minori come la guerra in Ucraina, l’impatto dei tassi sulle famiglie ed il dibattito politico sul salario minimo..)

Monetizzare e catalizzare contatti è il segno di uno sviluppo anaffettivo, che stiamo metabolizzando e che non offre nulla a quella che è la vita reale delle persone

Paolo Venturi (direttore Aiccon)

Alla luce di tutto ciò c’è da chiedersi perché una proposta costruita per creare un effetto di visibilità strumentale, sia diventata un “argomento” politico, economico e culturale. Come può  un’inedita riedizione in carne e ossa di Celebrity deathmatch, la mitica serie animata anni 90 che poneva una contro l’altra le celebrità dell’epoca in una parodia del wrestling, essere un’opportunità di sviluppo culturale per il nostro Paese?

 Ciò che è accaduto dovrebbe farci riflettere. Occorre però guardare la luna e non il dito: occorre chiedersi perché questa “pantomima” è stata percepita come opportunità di sviluppo? Temi che dovrebbero interrogare il Paese che ha la maggior dotazione al mondo di beni Unesco, su quale sia il valore e l’impatto degli eventi culturali.  Attrarre risorse economiche, costruire un evento con milioni di contatti e dare in beneficenza il ricavato è un ottimo affare per alcuni ed una buona azione per altri,  ma non offre nulla allo sviluppo sostenibile di un territorio ed alla fioritura umana. Monetizzare e catalizzare contatti è il segno di uno sviluppo anaffettivo, che stiamo metabolizzando e che non offre nulla a quella che è la vita reale delle persone. Eventi nati in “laboratorio” e con un approccio “top down” pensati intenzionalmente per rendere le persone contatti e audience; fatti culturali che misurano il loro valore solo “alla fine”, sommando “transazioni” e contando “accessi”; astronavi che scendono dall’infosfera e dai think tank per animare un palco per poi andarsene.  Per alcuni mesi rimane l’eco di quel che è successo, poi,  osservando bene il paesaggio, l’effetto è quello di una desertificazione sociale.  La corsa bulimica di molte città a realizzare nuovi eventi culturali,  rischia di indebolire l’intraprendenza e creatività di un territorio. I flussi che impattano sui luoghi, per non creare crateri, necessitano di una strategia non commerciale e di una sguardo culturale che si leghi al protagonismo degli abitanti e delle istituzioni che abitano un territorio.

La cultura è un bene di stimolo, non un bene di comfort. Gli eventi son utili perciò,  se son legati ad una piattaforma di contenuti da co-produrre con i potenziali fruitori, se ambiscono a rigenerare le aspirazioni e la partecipazione, se stanno dentro una prospettiva di innovazione e inclusione, se capacitano e rendono gli abitanti ed i cittadini più consapevoli, critici e più liberi.

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Un recente studio della Commissione Europea (Culture and democracy: the evidence) certifica “il potere” della partecipazione culturale e dimostra come i cittadini che partecipano regolarmente ad attività culturali abbiano maggiori probabilità di votare, fare volontariato e partecipare ad attività, progetti e organizzazioni della comunità . Evidenze che implicano responsabilità, a che politiche. C’è uno spazio incredibile di innovazione sociale, che gli eventi culturali possono attivare, non solo per generare audience o per fare beneficienza, ma per orchestrare nuove forme di partecipazione che producono valore economico e sociale.

Foto di apertura del Colosseo di Vinicius “amnx” Amano su Unsplash


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