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Verso la giornata del volontario

Perché sentiamo l’esigenza di dedicare il nostro tempo agli altri?

Perché persone diverse, in Regioni molto lontane tra loro, sentono ad un certo punto l’esigenza di dedicare il proprio tempo – professionale o volontario – per costruire un’offerta territoriale dedicata ai più piccoli e agli adolescenti? Questa è la domanda dalla quale è partito il progetto “Rete C.E.E.T” che ha cercato di trovare una risposta attraverso l’emersione delle storie collettive dei soci che abitano i circoli Arci

di Sabina Pignataro

Esiste un filo rosso, o magari un’intera intricata matassa, che unisce Giorgio di Corneliano d’Alba, Federica di Viterbo, Roberta di Mussomeli, Shio Mien di Rimini e Jacopo di Genova, che lavorano ogni giorno in territori a rischio accogliendo bambini, adolescenti e famiglie nei propri circoli, o implementando l’offerta educativa delle scuole?
Per scoprirlo, Arci si è affidata al metodo autobiografico della Libera Università dell’Autobiografia – Lua di Anghiari: i formatori della Lua hanno incontrato settanta volontari e operatori Arci che ogni giorno lavorano con e per i bambini e i ragazzi nelle periferie urbane, andando a ricostruirne la storia, le radici, il metodo di lavoro e gli obiettivi educativi, con l’intento di sostenerne il lavoro e implementarne la partecipazione a reti locali e nazionali.

È nato da questi colloqui l’ebook  Per una pedagogia comunitaria – immaginare altri futuri, edito dalla casa editrice Sinnos, (può essere scaricato gratuitamente da qui www.arcicarovana.it).

Il volume non parla di tutto quello che ogni giorno Arci fa, con i bambini e con i ragazzi, ma del resto non parla neppure solo di Arci. Parla piuttosto della fortissima esigenza di migliaia di persone in Italia di trovare luoghi, spazi e tempi da dedicare a costruire un mondo con e per i più piccoli e i più giovani cittadini di questo paese.

«I colloqui biografici parlano di speranza, di fatiche, di ostacoli, di desideri, di società, di scuola, di genitorialità, di cultura, di educazione. Raccontano una pedagogia che esiste, non soltanto in Arci, ma nel paese», scrive Marco Rossi- Doria, presidente di Con i Bambini, nella prefazione del volume.

I colloqui biografici parlano di speranza, di fatiche, di ostacoli, di desideri, di società, di scuola, di genitorialità, di cultura, di educazione. Raccontano una pedagogia che esiste, non soltanto in Arci, ma nel paese

Marco Rossi-Doria, presidente di Con i Bambini

Una prospettiva che riflette sui bisogni ma anche sui desideri, che affonda le sue radici nelle riflessioni di Giancarlo Paglierini – anima pedagogica di Arci e poi di Arciragazzi – e che si relaziona con la comunità grazie ad un lavoro quotidiano e diffuso che non riconosce posizioni sovraordinate ma che desidera lo scambio, il confronto e il riconoscimento del proprio ruolo.

Nelle autobiografie dei soci, degli operatori, dei volontari e dei dirigenti Arci si riscontrano diversi punti in comune. Uno dei primi punti che salta agli occhi, per quanto riguarda le motivazioni che hanno spinto i soggetti ad avvicinarsi ad Arci come contesto di proposta pedagogica e di attività con l’infanzia, è certamente l’autobiografia educativa legata alla propria infanzia e alla propria adolescenza. Vi può essere connessione tra progetto educativo con la propria esperienza di vita, oppure contrapposizione anche severa, che considera il lavoro educativo come risposta sostanziale a ciò che nella propria infanzia è mancato. Claudia di Viterbo dice ad esempio che «adesso che lavoro con i bambini mi sento di fare, forse, un favore all’infanzia, forse faccio un favore alla bambina che sono stata, li tratto bene».

Adesso che lavoro con i bambini mi sento di fare, forse, un favore all’infanzia, forse faccio un favore alla bambina che sono stata

Claudia di Viterbo, volontaria Arci

Questo genera l’avvio di una relazione profondamente educativa e trasformativa, un ponte tra l’infanzia e la vita adulta, che poi resta cruciale nel percorso professionale.

«Io sentivo forte il problema della giustizia sociale: è stato questo a spingermi», racconta Antonio di Pescara. «Nessuno sa esattamente cosa sia un circolo – riflette invece Serena di Padova – per noi è importante pensare di essere dei custodi, forse dei presìdi a garanzia della libertà».

Queste storie possono diventare un patrimonio comune e possono rappresentare una importante occasione di confronto per chi, indipendentemente dal fatto di fare parte di una rete associativa nazionale, sente lo stesso desiderio di agire sul proprio territorio per modificarlo, a partire dai più piccoli e dai più giovani.


«E il risultato di questo percorso è stato sorprendente», racconta Giorgio Macario, referente del progetto per la LUA. «Oltre 70 soci arci invitati a raccontarsi che, con le proprie storie e le proprie memorie, hanno dato voce all’ampia rete Arci che svolge un lavoro quotidiano di presidio educativo, dimostrando che questo metodo potrebbe estendersi a diverse altre associazioni».


Per cercare di trovare una cornice ai racconti autobiografici e raccontare il lavoro pedagogico svolto ogni giorno dalla Rete Arci, i curatori prendono in prestito le parole di Paulo Freire: “L’istruzione è costantemente rifatta nella prassi. Per essere, deve essere”. «C’è assoluto bisogno di riconosce la centralità dell’educazione non formale nella tenuta educativa e sociale del nostro paese», dice la pedagogista Vanessa Niri, che ha curato il volume.

C’è assoluto bisogno di riconosce la centralità dell’educazione non formale nella tenuta educativa e sociale del nostro paese

Vanessa Niri

«Centinaia di migliaia di bambini e altrettanti adolescenti vengono accolti ogni giorno da circoli, parrocchie, associazioni culturali e di promozione sociale che lavorano con loro attraverso molteplici obiettivi pedagogici. I circoli arci che dedicano ai minori le proprie attività non sono solo gli spazi dove si svolgono i compiti della scuola: la larga parte del tempo è piuttosto impiegato per offrire ai minori occasioni di espressione, di confronto, di crescita, di accesso alla cultura, di rinforzo delle competenze emotive, creative, motorie, relazionali. Sono luoghi dove si lavora attraverso l’educazione non formale – continua  Niri – e in totale assenza di valutazione o giudizio: proprio per questo sono un’integrazione necessaria al compito svolto dalla scuola pubblica, e non luoghi sostitutivi del lavoro curricolare. Sono spazi altri rispetto alla scuola e alla famiglia, insomma, e altrettanto necessari. Presìdi di democrazia, appunto».

I racconti autobiografici sono il corpo centrale del volume, ma sono anche la base delle riflessioni della sociologa Chiara Saraceno e del pedagogista Raffaele Mantegazza sul valore civile della rete dei circoli arci dedicati al lavoro con i minori. 

Chiara Saraceno li definisce “Presìdi di democrazia”: spazi animati da quella che Mantegazza chiama invece “una febbrile voglia di cambiare il mondo”. Piccole lucine che brillano nel buio di un’Italia sempre meno disposta a investire sui bisogni dei più piccoli e degli adolescenti.

«Alcune sono le parole che ricorrono più di altre, nei racconti autobiografici», prosegue Walter Massa, presidente nazionale di Arci.  «Comunità, in primis, e poi parità di genere, accoglienza, laicità, presenza, diritto dei minori ad avere voce, spazi, offerte culturali, spazi di confronto. E poi le storie legate alle molte difficoltà: resistere in quartieri e città complicate, trovare le risorse per sopravvivere, costruire fiducia tra il circolo e l’intera comunità educante, riconoscere la professionalità di chi trova le strategie per svolgere quel difficilissimo compito che è l’educazione».

«Chi fa questo lavoro non farà carriera e non diventerà ricco – dice efficacemente Claudia di Viterbo – il principio è quello di aiutare, e stare bene con gli altri». 


«Non si fa pedagogia comunitaria partendo dalla teoria – osserva Carlo Testini, coordinatore della Commissione Lotta alle Diseguaglianze di Arci –  non si riflette sulla comunità senza una relazione quotidiana con i quartieri e i territori – ci racconta infatti il volume. Parallelamente, però, non ci si può neppure abbandonare ad un lavoro operativo soffocante, che impedisce di riflettere su quello che si sta facendo e sul come lo si stia facendo».
“Stare” all’interno di una pedagogia comunitaria, per gli educatori Arci significa quindi provare a governare processi in cui si assista al passaggio dalla vista alla voce (la “voice” di Arjun Appadurai), e quindi alla presa di parola di chi non aveva voce nei propri contesti di vita – nella famiglia, nella scuola, nel quartiere e nel paese. Il lavoro educativo di Arci appare quindi caratterizzato dal continuo dialogo con il proprio orizzonte valoriale, che comporta inevitabilmente un persistente interrogarsi e riflettere sul senso, sui contesti, sulle modalità operative. All’interno di questo approccio, un’inevitabile (e desiderata) conseguenza è la scomparsa del termine utenti, quando il mondo educativo Arci entra in contatto con i bambini e i ragazzi.


“Rete CEET – Cultura, Educazione, Empowerment, Territorio” è un progetto promosso dall’Arci e co-finanziato dall’Impresa sociale Con i bambini attraverso il fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Obiettivo del progetto è quello di valorizzare e implementare il lavoro educativo che viene svolto quotidianamente da decine di circoli Arci nel contrasto alle povertà educativa di minori e famiglie, all’interno di una comunità educante composta dagli abitanti delle zone coinvolte, dalle scuole, dalla rete delle associazioni di promozione sociale, culturale e sportiva e dalle istituzioni locali.

Le illustrazioni sono di Giovanni Colaneri e sono contenute nell’ebook Verso una pedagogia comunitaria



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