Cultura
Perché val la pena restare?Qualche idea io l’avrei…
caso rifiuti Lettera aperta a Berlusconi di un ventenne napoletano
di Redazione

Provate a immaginare un mostro dalle orbite vuote, dalle zampe sgocciolanti percolato, dall’alito fetido e dal corpo informe, che si scatena contro i più modesti e che invece si nasconde, nell’ombra, alla vista dei potenti, dei capi di Stato, delle cerimonie ufficiali. Un abominio indecifrabile, cinico, immorale. Nel momento in cui le uniche armi per combatterlo – quelle della tecnica e della politica – sembrano spuntate, fuse in un corto circuito mediatico, e tutto si risolve in una questione di quante buche, quanti treni occorreranno per smembrarlo, che illusione resta a chi ancora non è fuggito? Una città, una nazione s’inginocchiano confidando in attese messianiche, sconvolgimenti purificatori. Quale può essere il tuo ruolo in questo disastro morale prima che civile, dal momento che sei tra quelli che l’abominio l’hanno sempre studiato da vicino, facendo i nomi di chi l’ha generato e nutrito, per dare l’allarme prima che la creatura s’ingozzasse troppo? Ma così saltano tutte le regole: entrano in gioco apprendisti stregoni, arringatori di folle, si grida al «santo subito!». Sembra rinascere la vecchia Babilonia, dove l’unica legge è l’anarchia.
Altri rimangono bloccati davanti l’uscio: la spazzatura ha ostruito pure quello. Una città dove il più semplice degli spostamenti diventa un travaglio, con il traffico atrofizzato, gli scioperi selvaggi e i marciapiedi invasi dai motorini; una città dove anche il più elementare diritto, quello di camminare, viene ostacolato, non è forse una città sotto assedio?
Ti chiedi perché restare. Forse perché quel Ciruzzo, che sino a poco fa era ancora Ciruzzo-del-bar-ultrà, Ciruzzo-del-videopoker, si è tramutato ad un tratto in Ciruzzo-delle-barricate, colui che ha visto i fondachi del vico Cavone assediati ed è insorto, finendo sotto un cappotto di manganellate. È successo il finimondo: mamme, zie, sorelle, sono scese in strada per strapparlo alla polizia, lasciando basiti i passanti.
Probabilmente qualcuno diffonderà il video su YouTube, strappandosi i capelli per l’animalità della plebe. Eppure quello che io ho visto era altro, era una sfilza di donne in pigiama, credimi, che da sole hanno affrontato e preso per la collottola l’abominio di plastica nera, contrattaccandolo lì dove si era scatenato: proprio nell’alveo dei vicoli, nelle strettoie che sono insieme i polmoni e l’asfissia del popolo.
Ti chiedi perché restare. Forse perché esiste un mondo di associazioni e gruppi attivisti, sopravvissuti alle faide camorristiche, alla crisi economica, all’emigrazione di intere classi di liceali e universitari, che nonostante tutto continuano a respirare, e che raccontano questa realtà con slanci superbi. Molti laureandi, studenti, figli di buona famiglia sono scappati o hanno rinnegato la cronaca, fingendo di trovarsi in questo delirio per caso; altri invece si sono ritrovati soli con la plastica bruciata e col fumo, ma non per questo si sono rintanati in casa: la paralisi forzata di quest’enorme energia giovane, inimitabile in qualunque altro posto, danneggia la mente e i muscoli, riduce a uno stato di apatia irreversibile.
Inconsistente nella sua pretesa di risolvere il disastro con soluzioni di compromesso, il gaudioso carro armato governativo, avviato verso le fiamme e le barricate, dovrebbe comprendere questo, quali energie si stanno dissipando. Quali danni morali, civili ha prodotto questa tragedia, e non solo quelli materiali. Capirebbero che la vera sfida non è sopravvivere ma ritrovare la volontà di resistere. E di non intraprendere la strada che finora sembra obbligata. Niente bagagli, niente saluti, vado via da questa fogna. Ti chiedi se valga la pena mettere mano allo schifo anziché lasciarlo marcire. Occorrerebbe un vero motivo per convincerti: a un Consiglio dei ministri non chiederemmo altro.
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