Africa
Piano Mattei: gli italiani non sanno cosa sia (ma non è colpa loro)
Di Piano Mattei si è parlato tanto, ma solo il 12% degli italiani sa cosa sia. «Fino ad oggi non è mai stato spiegato», dice Guglielmo Micucci, direttore generale di Amref Italia. Non solo: «È impensabile che l’Italia possa fare da sola "un grande Piano per l’Africa". E quel "per" rimarca un approccio di assistenzialismo che invece dobbiamo superare»
di Anna Spena
Mancano solo due giorni all’inizio della conferenza Italia – Africa che si terrà a Roma il 28 e il 29 gennaio. Un vertice tra i leader africani e quelli italiani, che avrà ad oggetto la cooperazione nel campo dell’energia. Un momento tanto atteso perché – stando alle informazioni a disposizione fino ad oggi – è durante la due giorni che dovrebbe essere presentato nel dettaglio il Piano Mattei.
Un Piano composto da sette articoli per costruire il tanto atteso partenariato tra l’Italia e l’Africa. Il piano avrà una durata quadriennale: dalle attività di cooperazione allo sviluppo fino alla promozione delle esportazioni e degli investimenti; dall’approvvigionamento e sfruttamento sostenibile delle risorse naturali all’ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture anche digitali.
Di Piano Mattei si è parlato tanto, ma gli italiano sanno che cos’è? Stando ai dati della ricerca condotta da Amref – la più grande ong sanitaria africana, e Ipsos la risposta è no: solo il 12% degli italiani ha idea di cosa sia. Intervista a Guglielmo Micucci, direttore generale di Amref Italia.
Il 12% è una percentuale emblematica…
Sì, la percentuale è incredibilmente bassa. Ma questo dato merita un ragionamento più profondo. Si è parlato tanto del Piano Mattei, è vero. Ma non siamo mai andati oltre il nome. Sui contenuti veri del Piano neanche noi che possiamo definirci “addetti ai lavori”, perché lavoriamo nel mondo della cooperazione, abbiamo una visione chiara. Non mi stupisce quindi che appena il 12% degli italiani sappia – più o meno – cosa sia.
Un Piano che appare, ad oggi, un po’ “sfumato”
Sappiamo veramente poco: quali Paesi saranno coinvolti? Quante saranno davvero le risorse economiche a disposizione? Perché il Piano è in capo alla Presidenza del Consiglio e non al Ministero degli Esteri? Direi che davanti a queste domande, che ad oggi sono senza risposta, sfumato è un aggettivo gentile.
Continuando ad analizzare i dati dell’indagine, uno fra tutti lascia un po’ perplessi: più di tre italiani su quattro, il 77%, associano il continente africano alla parola povertà. E poi ancora uno su due alle parole migrazione, il 56%, e il 51% degli italiani associa l’Africa alla parola malattie. L’impressione è che vista dall’Italia l’Africa sia ancora considerata un unico grande Paese omogeneo. Invece, nonostante le sue fragilità, l’Africa è, prima di tutto, un continente che raccoglie alcune delle economie a più rapida crescita su scala globale. Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2050 la popolazione africana sarà cresciuta di oltre 1 miliardo, raggiungendo i 2,3 miliardi di persone, con un’età media intorno ai 20 anni (nello stesso periodo l’Italia, per fare un esempio, vivrà un declino demografico con -7 milioni di abitanti, un rilevante aumento degli ultraottantenni e una conseguente riduzione della ricchezza nazionale)
L’idea che gli italiani hanno dell’Africa dipende senza dubbio da come per anni l’Africa l’abbiamo raccontata, dipende da decenni di narrazione sbagliata. L’Africa è composta da ben 54 Stati, da una moltitudine di popoli diversissimi tra loro, è talmente gigante che per semplificare noi l’abbiamo ristretta in una sola parola “Africa” e abbiamo così schiacciato tutte le differenze. E allora per tornare al Piano Mattei: cosa significa dire che “stiamo facendo un grande piano per l’Africa?”. Anche perché è impensabile che l’Italia possa fare da sola “un grande Piano per l’Africa”. Basta spostare la cartina dell’Italia su quella del continente africano per capirlo…E infatti gli italiani lo sanno, perché se per il 42% l’Italia dovrebbe fare di più per supportare il continente, questa percentuale sale fino al 65% quando gli si chiede se a fare di più non dovrebbe essere tutta l’Europa.
La rivista dell’innovazione sociale
Disponibile anche in formato digitale.
Per leggerci tutto l’anno, ovunque e su ogni device.
L’ha anticipato lei: dall’indagine emerge che sta crescendo l’idea che l’Italia dovrebbe fare di più per aiutare l’Africa, la pensa così il 42% degli italiani. E alla domanda “cosa potrebbe favorire lo sviluppo dell’Africa?”, il 36% degli intervistati ha risposto di investire sulle strutture sanitarie, il 33% di costruire infrastrutture scolastiche e istruzione di qualità, il 26% di migliorare il settore agricolo e il 21% di contrastare la malnutrizione
Il dato che riguarda l’aspetto sanitario è importante, in passato era più basso. Ma la pandemia di Coronavirus ha messo la salute al centro dell’attenzione. Il rafforzamento del sistema sanitario è un volano anche per lo sviluppo umano.
Parlare di un Piano Mattei per l’Africa e non di un Piano Mattei con l’Africa, in qualche modo non mette già il continente in secondo piano? Come se alla base ci fosse un’idea di assistenza e non di costruzione comune
Non c’è dubbio su questo. Quel “per” ti mette già nella posizione in cui sarai tu quello che dovrà aiutare. E quindi ritorniamo a quell’approccio di assistenzialismo e da ex colonialisti che ormai gran parte del mondo occidentale ha superato perché ci si è resi conto che bisogna lavorare insieme e costruire relazioni paritarie. E mi pare che con il Piano Mattei non ci siano ancora i presupposti, infatti: nella cabina di regia o nelle interlocuzioni fatte finora per la costruzione del Piano, l’Unione Africana è stata coinvolta? Qualcuno dei ministri degli esteri dei Paesi africani è stato coinvolto? Tra due giorni il Piano sarà presentato: ma è stato costruito con gli africani oppure no?
Foto: South-Sudan_Amref Health Africa_Kennedy Musyoka
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.