Famiglia
Pochi, cioè più felici
«Abolire subito gli istituti sarebbe un vero errore» avverte la presidente dei giudici minorili. «Meglio riqualificarli e potenziare le piccole comunità»
Istituti, mai più. Cosa ne pensa Melita Cavallo, presidente dell?Associazione dei giudici minorili d?Italia? «Gli istituti sono ancora una realtà utile che dovrebbe in parte sopravvivere» chiarisce il magistrato «Anche se certamente non in un così grande numero e, soprattutto, solo se in grado di offrire una qualità di servizio adeguata ai bambini e alle loro esigenze». Per la presidente dei giudici minorili gli istituti ?ideali? dovrebbero accogliere non più di 10-15 bambini di tutte le età. «È terribile pensare che ce ne siano ancora alcuni che ospitano solo maschi o solo femmine, o solo grandi e solo piccoli», commenta. Occorre poi che siano presenti bambini dal vissuto diverso: «Non si possono riunire minori che abbiano alle spalle situazioni di forte disagio, dall?abuso sessuale, ai maltrattamenti gravi, alla devianza». È importante invece che siano presenti casi meno difficili, figure a cui il bambino possa guardare come modello positivo. Sulle comunità di tipo familiare, la Cavallo condivide le preoccupazioni espresse dal Cnca: «Oggi si tende a considerare di ?tipo familiare?, anche strutture che non lo sono. Familiare definisce una realtà in cui si gestisce la vita nel quotidiano come in una famiglia », osserva. «Dal preparare il pranzo, ai ritmi di vita, al ricevere i compagni di classe del bambino a casa. Una vita comunitaria, certo, ma con i ritmi di famiglia». Mentre esiste il rischio che gli istituti tentino di riconvertirsi in casa-famiglia semplicemente con qualche aggiustamento di facciata. Quanto all?affido, la presidente sottolinea la necessità di «una grande professionalità da parte di giudici ed operatori, nel valutare attentamente le risorse della famiglia e del territorio». Se ci si rende conto che ne esistono ancora e si riesce a farle entrare in sinergia, il bambino potrà presto rientrare nella famiglia d?origine. «Se, al contrario, le risorse in realtà non ci sono», sottolinea ancora Melita Cavallo, «l?affido prolungherà soltanto la deresponsabilizzazione dei genitori, rinviando una situazione di adottabilità, o trasformandosi in un?adozione di fatto». È spesso il caso di situazioni patologiche quali alcolismo o tossicodipendenze che caratterizzano la famiglia di origine. «A volte, quando il giudice dispone il rientro del bambino, può accadere che i servizi allentino il sostegno o il controllo, e la famiglia crolla» conclude il magistrato. E spesso bastano circostanze banali: la chiusura estiva della scuola, o dell?associazione di volontariato di zona, per far ripiombare un bambino in una situazione difficile.
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