Ricerche
Poco più di 1 mamma single su 2, tra i 25 e i 34 anni, lavora
Save the Children pubblica la decima edizione del rapporto “Le Equilibriste, la maternità in Italia”. Le famiglie monogenitoriali composte da madri sole rappresentano la maggioranza (77,6%) e sono particolarmente vulnerabili al rischio di povertà. In media, le madri single con figli minori percepiscono un reddito netto annuo di 26.822 euro, significativamente inferiore rispetto ai padri soli nella stessa condizione, che si attestano sui 35.383 euro
di Redazione

In Italia, il 2024 ha registrato un nuovo record negativo delle nascite con soli 370mila nuovi nati, una flessione del 2,6% rispetto all’anno precedente. L’età media delle madri al parto ha raggiunto i 32,6 anni, parallelamente il tasso di fecondità totale ha subito un’ulteriore contrazione, attestandosi a 1,18 figli per donna, inferiore anche al minimo storico dell’1,19 registrato nel 1995. Il Sud e le Isole hanno registrato i cali più significativi di nuove nascite, rispettivamente del 4,2% e del 4,9%. In questo panorama di crisi demografica, le mamme single sono quelle che si trovano spesso ad affrontare ulteriori difficoltà in termini di supporto sociale e stabilità economica.
Questi e molti altri i dati contenuti del rapporto “Le Equilibriste, la maternità in Italia” di Save the Children arrivato alla sua 10ma edizione e diffuso oggi a pochi giorni dalla festa della Mamma, che traccia un bilancio sugli infiniti equilibrismi che le donne in Italia sono costrette a compiere quando scelgono di diventare mamme. Come ogni anno, lo studio include anche l’Indice delle Madri, elaborato dall’Istat per Save the Children, una classifica delle Regioni italiane dove per le mamme è più facile o difficile vivere. Anche quest’anno, l’Indice riporta la Provincia Autonoma di Bolzano in cima ai territori amici delle madri, seguita da Emilia-Romagna e Toscana, mentre fanalino di coda, come nella scorsa edizione, risulta la Basilicata, preceduta in fondo alla classifica da Campania, Puglia e Calabria.
L’Italia occupa il 96° posto su 146 Paesi nel mondo in relazione alla partecipazione femminile al mondo del lavoro, mentre rispetto al gender gap retributivo si trova alla 95esima posizione. Inoltre, più di una donna su quattro (26,6%) nel nostro Paese è a rischio di lavoro a basso reddito, mentre la stessa condizione interessa un uomo su sei (il 16,8%). I dati sul divario salariale a sfavore delle donne preludono a una penalità ancora più netta quando queste decidono di mettere al mondo un figlio: la child penalty. Il 77,8% degli uomini senza figli è occupato, ma la percentuale sale al 91,5% tra i padri (92,1% per chi ha un figlio minore e 91,8% per chi ne ha due o più), mentre per le donne la situazione è molto diversa: lavora il 68,9% tra quelle senza figli, ma la quota scende al 62,3% tra le madri (65,6% per chi ha un figlio minore e 60,1% con due o più). Dai dati si evince che mentre gli uomini con figli sono più presenti nel mercato del lavoro degli uomini senza figli, per le donne avere figli è associato a una minore occupazione lavorativa. Il 20% delle donne, infatti, smette di lavorare dopo essere diventata madre, spesso a causa dell’assenza di servizi per la prima infanzia e della mancanza di condivisione dei compiti di cura all’interno delle famiglie, che rendono inconciliabile la dimensione lavorativa e quella familiare. Secondo alcune stime preliminari, inoltre, questa percentuale salirebbe di ulteriori 15 punti, raggiungendo il 35%, tra le madri di figli con disabilità.
I dati del Rapporto, elaborato dal Polo Ricerche di Save the Children, oltre allo squilibrio di genere evidenziano forti disparità territoriali e sociali. Al Nord , il tasso di occupazione maschile è dell’87% per gli uomini senza figli e 96,3% per quelli con almeno un figlio minore, mentre per le donne si attesta all’80,2% per le donne senza figli, e al 74,2% per quelle con almeno un figlio minore. Anche nelle regioni del Centro emerge uno svantaggio femminile con una differenza di circa 5 punti percentuali nei tassi di occupazione tra le donne senza figli (74,3%) e quelle con figli minori (69,2%). Nel Mezzogiorno, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è molto più bassa e presenta comunque una differenza tra le donne senza figli (49,4%) e quelle con almeno un figlio minore (44,3%), in linea con quelle del Centro e del Nord. Anche i dati sulle dimissioni volontarie relativi ai genitori con figli 0-3 anni restituiscono un’istantanea sulla disparità di genere nel mondo del lavoro: a dimettersi, infatti, sono principalmente le madri, al primo figlio ed entro il suo primo anno di vita. Il 72,8% di tutte le 61.391 convalide da parte di neogenitori di bambini tra 0 e 3 anni è riferito a donne e nel 96,8% dei casi si tratta di dimissioni volontarie. Le motivazioni più frequentemente indicate riguardano la difficoltà di conciliazione della vita familiare con quella lavorativa per ragioni legate ai servizi, all’organizzazione del lavoro o a scelte del datore di lavoro.
Il Rapporto Le Equilibriste contiene quest’anno una stima a cura del Think- Tank Tortuga su quanto una riduzione dei costi dell’assistenza a carico delle famiglie attraverso gli investimenti in asili nido potrebbe ridurre la child penalty in modo sostanziale, promuovendo una maggiore equità di genere nel mercato del lavoro italiano. In Italia, la genitorialità è responsabile del 60% della differenza nel tasso di occupazione tra uomini e donne, con le madri che spesso ricoprono ruoli di cura all’interno della famiglia a scapito della carriera. In Italia, dopo la nascita di un figlio, la child penalty iniziale è pari al 33%. Con una riduzione dei costi a carico delle famiglie per i servizi per l’infanzia del 30% si registra una child penalty tra il 28,5% (stima conservativa) e il 27,6% (stima ottimista). Nello scenario più ambizioso (-90% dal costo attuale), si ridurrebbe fino al 19,5-16,8%.
Una maggiore estensione dei servizi di cura favorirebbe anche una partecipazione più completa al mercato del lavoro delle mamme: nel 2024 la quota di donne 25-54enni occupate a tempo pieno scende drasticamente dal 77,8% tra le donne senza figli al 64,4% tra le madri con almeno un figlio minore. Specularmente, il part-time aumenta in modo marcato, passando dal 22,2% tra le donne senza figli al 35,6% tra le madri con almeno un figlio minore.
«Ancora oggi, le diseguaglianze di genere nel mondo del lavoro ma non solo, lo sbilanciamento dei carichi di cura a sfavore delle donne, l’insufficienza o l’assenza completa di servizi per la prima infanzia condizionano la vita e il benessere delle madri. Servono politiche strutturali, integrate e durature che garantiscano risorse e strumenti per sostenere le famiglie nella cura dei figli e nella conciliazione tra vita privata e professionale. È fondamentale, ad esempio, garantire a tutti i bambini e le bambine l’accesso ai servizi educativi per l’infanzia, ampliando l’offerta in tutti i territori e assicurandone la sostenibilità nel lungo periodo, ed estendere la durata dei congedi di paternità, incentivandone l’utilizzo e riconoscendo il valore sociale della cura anche per i padri, in una logica di corresponsabilità. Solo così potremo costruire un futuro in cui la genitorialità, il lavoro e la vita privata non siano in conflitto, ma possano coesistere come parte di un progetto di benessere individuale e collettivo», ha affermato Giorgia D’Errico, direttrice affari pubblici e relazioni istituzionali di Save the Children.
Le mamme single, equilibriste tra le equilibriste
Se l’Italia già si dimostra un Paese poco accogliente per le madri, sono le madri single, equilibriste tra le equilibriste, a d incontrare ancora più difficoltà. Negli anni, i nuclei monogenitoriali famiglie composte da un solo genitore con figli – sono passati da circa 2 milioni 650mila nel 2011 a oltre 3 milioni 800mila nel 2021, segnando un incremento del 44%. Una tendenza opposta rispetto alle coppie con figli che, al contrario, sono calate nel tempo. Il 77,6% delle famiglie monogenitoriali è costituita da madri sole con i propri figli. Si stima, inoltre, che le madri sole saranno 2,3 milioni nel 2043. Le madri sole con figli sono attualmente una delle tipologie familiari più esposte al rischio di povertà. Secondo gli ultimi dati Istat, se complessivamente nel 2024 il 23,1% della popolazione italiana è a rischio povertà o esclusione sociale, la percentuale sale al 32,1% tra i nuclei monogenitoriali, quasi tre punti percentuali in più rispetto all’anno precedente e 11 punti percentuali in più delle coppie con figli (21,2%).
Nel complesso, tra il 2023 e il 2024 si registra un miglioramento del tasso di occupazione complessivo delle mamme single (25-54enni ) che passa dal 66,6% al 68,5%. Anche per le madri con almeno un figlio minore, 716mila in Italia, si evidenzia un aumento rispetto al 2023 (da 65,6% a 67,5%). Tuttavia, la combinazione di fattori come la bassa istruzione, la giovane età e la residenza nel Mezzogiorno continua a rappresentare un ostacolo significativo all’occupazione delle madri sole, indicando la necessità di politiche mirate per sostenere le famiglie monoparentali in condizioni di maggiore vulnerabilità.
Dai dati, anche in questo caso, emerge infatti una netta frattura tra Nord e Mezzogiorno. Nel 2024, il tasso di occupazione delle mamme single tra i 25 e i 54 anni supera l’83% nel Nord, sia per le madri con almeno un figlio minore che per il totale delle madri sole, mentre nel Mezzogiorno non va oltre il 45,2 %. Nel Centro si registra una crescita più contenuta, ma comunque positiva. Rispetto all’età, i tassi aumentano con l’avanzare dell’età anagrafica: nel 2024 se oltre il 75,5 % tra le madri sole 45-54enni con figli minori è occupato, la percentuale scende al 64,8 % tra le 35-44enni, per assestarsi al 53,1 % delle madri sole tra i 25 e i 34 anni con almeno un figlio minore. La fragilità della condizione delle mamme sole è evidente anche dai dati che riguardano i redditi netti. Le madri single con figli minori, infatti, hanno un reddito medio netto pari a 26.822 euro annui, contro i 35.383 dei papà nella stessa situazione. Nel 2024, tra queste mamme, inoltre, circa una su tre vive in affitto (il 31,5% contro il 17,5% dei padri nella stessa situazione) e poco più della metà (53,2%) in abitazione di proprietà, circa 20 punti percentuali in meno rispetto ai padri soli con almeno un figlio minore (71,9%).
«In Italia, dalla prima pubblicazione de Le Equilibriste, gli approfondimenti condotti mostrano vecchi problemi e propongono nuove angolature di analisi. Nel complesso, tra il 2022 e il 2024, la situazione italiana mostra un miglioramento sia in termini assoluti, con un incremento dei valori dell’Indice delle Madri, sia in termini di riduzione del divario territoriale. Tuttavia, l’Indice fotografa ancora una situazione frammentata e fragile del nostro Paese che non riesce a garantire il benessere per le donne che diventano madri. Sono molti gli squilibri strutturali che resistono al cambiamento mentre emergono nuove aree di diseguaglianza che si stratificano. Non solo le donne sono penalizzate nel mercato del lavoro e ancora scontiamo divari occupazionali e retributivi a danno di tutte, ma per le madri la situazione rimane critica in molte aree del Paese. Tra loro, le madri sole con figli minorenni devono superare gli ostacoli maggiori, con divari di reddito e di condizioni abitative rispetto ai padri molto ampi, divari su cui è necessario intervenire con misure di sostegno dedicate per evitare che queste mamme e i loro bambini sprofondino in una situazione di povertà dalla quale è difficile riemergere», ha dichiarato Antonella Inverno, responsabile ricerca e analisi dati di Save the Children Italia.
L’Indice delle Madri, regione per regione
Anche quest’anno il Rapporto “Le Equilibriste, la maternità in Italia 2025” presenta un Indice delle madri per regione, risultato di un’analisi basata su 7 dimensioni: Demografia, Lavoro, Rappresentanza, Salute, Servizi, Soddisfazione soggettiva e Violenza, per un totale di 14 indicatori da diverse fonti del sistema statistico nazionale. L’indice è il frutto di una lunga e proficua collaborazione scientifica con l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat). Il valore di riferimento dell’Indice delle Madri è pari a 100 e rappresenta il valore dell’indice per l’Italia nel 2022. Rispetto ad esso, i valori superiori rappresentano un territorio più favorevole per le mamme; al contrario, i valori inferiori mostrano un territorio meno “friendly” nei loro confronti. Come nella scorsa edizione, anche quest’anno tra le regioni più “amiche delle mamme”, si confermano ai primi posti dell’Indice generale la Provincia Autonoma di Bolzano (117,877), l’Emilia-Romagna (110,981), e al terzo posto la Toscana (108,822) . Una menzione particolare in questa edizione va fatta per l’Umbria (108,569), che occupava la nona posizione nella scorsa edizione e che quest’anno si attesta al 4° posto, anche grazie alle prime posizioni conquistate nelle dimensioni della Soddisfazione personale, della rappresentanza femminile negli organi politici e nella dimensione Salute e Violenza. Degno di nota è anche il marcato peggioramento della Valle d’Aosta (94,970), che scende dal quinto posto della scorsa edizione al sedicesimo nell’attuale Indice, registrando una delle flessioni più significative, principalmente a causa del peggioramento nella dimensione Salute per il quoziente di mortalità infantile (che può variare molto in una Regione molto piccola anche in relazione al basso numero di nascite, meno di 800 l’anno).
Sebbene rispetto all’anno precedente, la situazione italiana sia migliorata sia in termini assoluti, con un incremento dell’AMPI nazionale dal 2022 di 100,000 a 102,635 nel 2024, sia in termini di riduzione del divario territoriale, le regioni del Mezzogiorno, continuano a posizionarsi tutte al di sotto del valore di riferimento italiano, con alcune particolarmente lontane dal target. L’Abruzzo, con un valore pari a 100,349, occupa il 13° posto della graduatoria ed è l’unica regione meridionale che supera la soglia del valore di riferimento nazionale. Calabria (93,139), Puglia (91,584), Campania (91,386) e Basilicata (90,441), fanalino di coda, occupano gli ultimi posti dell’Indice generale senza cambiamenti significativi rispetto alla scorsa edizione. Relegate in fondo all’Indice, queste regioni più di altre scontano i mancati investimenti sul territorio che si traducono in una carenza strutturale di servizi e lavoro.
Credit foto: Francesco Alesi per Save the Children
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