Inclusione sociale
Povertà, Natale Forlani: «I sussidi non bastano. Serve una nuova governance»
Il presidente di Inapp e del Comitato scientifico per la valutazione delle misure di contrasto alla povertà chiede «riflessioni e risposte complesse, di fronte alla complessità della povertà. Servono servizi e prestazioni sui territori, non si può pensare solo ai sussidi nazionali. Che pure vanno ripensati»

Non si possono dare risposte semplici e un problema complesso. Soprattutto quando il problema è multidimensionale, trasversale, diffuso e cronico come è, oggi, la povertà nel nostro Paese. Per leggere e interpretare i dati del Report di Caritas italiana abbiamo interpellato Natale Forlani, presidente dell’Inapp e del Comitato scientifico per la valutazione delle misure di contrasto alla povertà e del Reddito di cittadinanza. Che fa il punto sull’efficacia delle politiche attuali e indica alcuni passi necessari per intraprendere una strada diversa rispetto a quella che, da anni, porta verso un progressivo e crescente impoverimento della popolazione.
Caritas ci ha raccontato qualcosa di diverso rispetto a quanto non ci avesse già detto Istat? Che la povertà in Italia sia in crescita e si sia cronicizzata, in fondo già lo sapevamo…
Si tratta di analisi diverse e diversamente utili. Quella di Istat è una lettura statistica di sistema, basata sul livello dei consumi e sulla capacità di spesa delle famiglie. All’interno di questo indicatore, però, convivono tantissimi non declinabili solo con la statistica e che a loro volta sono conseguenza di condizioni territoriali, personali, familiari, relazionali. L’analisi di Caritas, al contrario, non è statistica né quantitativa, ma legge le dinamiche concrete di persone che si trovano in una condizione di bisogno e dà uno spaccato, non numerico ma autentico, rispetto alle tante e diverse cause: il lavoro, la condizione sanitaria, le dipendenze, il problema abitativo ecc. Queste condizioni problematiche non si risolvono con un sussidio economico. Il carattere multidimensionale della povertà richiede un intervento altrettanto multidimensionale: alla luce di quanto messo in evidenza da Caritas, serve un migliore equilibrio tra il sistema dell’erogazione di sussidi nazionali e la messa in campo di pacchetti di misure personalizzati rispetto ai fabbisogni complessi dell’individuo e del nucleo.
Interventi del genere richiedono un forte coinvolgimento del terzo settore, che peraltro in occasione della presentazione del Report ha chiesto al governo un impegno in questo senso…
È una richiesta corretta e sensata: abbiamo messo infatti in programma, per la valutazione dell’efficacia delle misure, incontri con i soggetti del terzo settore, ma anche con i patronati e i Caf, per fare insieme una riflessione da un lato sul necessario adeguamento dei sussidi, dall’altro sui pacchetti di servizi e prestazioni da attivare sui territori. L’eredità che abbiamo alle spalle è molto centrata sulla funzione del sussidio, che in alcuni casi può essere appropriata ma non in altri casi non lo è. Pensiamo al fabbisogno abitativo, emerso nella sua gravità anche dal Report Caritas: quando una famiglia non ha una casa, il sussidio non risolve il problema. Serve un modello di governance diverso, che peraltro avevamo già sollecitato in sede di valutazione del Reddito di Cittadinanza. Questo strumento, per esempio, risultava dai dati Istat essere percepito da una quota non marginale di individui non poveri (per esempio a causa del diffuso lavoro sommerso e i conseguenti redditi non dichiaratI), mentre non arrivava a persone che ne avrebbero avuto bisogno, come tanti anziani che non conoscevano questa possibilità. Allo stesso modo, non raggiungeva condizioni di disagio familiare e che non emergevano nell’Isee, ma che avevano bisogno di essere sostenute, come per esempio le dipendenze, il lavoro precario, la bassa occupabilità. Ripeto, serve una cambiamento della governance, con l’attivazione di pacchetti di servizi e prestazioni sui territori, tarati sui bisogni effettivi.
Questo però chiama in causa enti territoriali e servizi sociali, oggi poveri di risorse umane, finanziarie e organizzative…
Questo è vero: come comitato scientifico, infatti, stiamo conducendo una valutazione multidimensionale dell’efficacia dei servizi, per capire dove e come funzionano e dove invece si verificano creano problemi. Tra questi, lo spopolamento delle aree interne, con un invecchiamento della popolazione e l’esodo dei giovani, l’indebolimento delle reti familiari e territoriali e la perdita di capacità relazionale delle persone: questo si traduce anche nell’incapacità di accedere a benefici pubblici. Si tratta di un fenomeno estremamente complesso, che l’attuale approccio non è capace di affrontare.
Qualcuno dice (qui l’articolo di Antonio Russo) che il governo, di fronte alla povertà, tace e non fa nulla. In quali direzioni bisogna muoversi?
Prima di tutto, serve una lettura dei fenomeni complessa. In secondo luogo, come dicevo, vanno pensati modelli di governance più appropriati a rispondere alle caratteristiche personalizzate del disagio. Terzo, dobbiamo capire come distribuire diversamente prestazioni e misure e come adeguare l’attuale politica dei sussidi. Quarto, accanto ai sussidi occorrono politiche attive del lavoro.
Queste ultime, previste anche nelle attuali misure di contrasto, non sembrano però funzionare…
Il Supporto Formazione Lavoro, pensato a questo scopo, ha avuto una buona funzione antielusiva, che era poi l’obiettivo principale della riforma, al fine di evitare che una parte non marginale di risorse fosse destinata – com’era accaduto con il Reddito di Cittadinanza – a persone e nuclei che non ne avessero bisogno, ma che riuscissero ad accedervi grazie a redditi non dichiarati o ‘spacchettamenti artificiali’ dei nuclei familiari. Al contrario, le politiche attive del lavoro efficaci non sembrano aver dato risultati apprezzabili. Alcuni limiti della riforma sono stati superati in sede di Legge di Bilancio (per esempio, la modifica delle soglie reddituali) e bisognerà verificare l’efficacia di questi interventi.
E per quanto riguarda la discontinuità della misura? Molti vedranno presto sospendere l’erogazione per (almeno) un mese. Non è anche questo un elemento critico?
Certamente è un altro tema da valutare. La discontinuità è stata voluta dal legislatore per evitare un ‘allungamento del brodo’ che spesso si verifica: ovvero, cambiano le condizioni di reddito durante l’utilizzo del sussidio, ma non emergono fino al rinnovo dell’Isee. Infatti Inps ha sempre registrato una caduta della partecipazione alle misure proprio in quel momento. Si potrebbero comunque pensare altri sistemi e anche ciò sarà oggetto di valutazione. Queste sono però questioni facilmente risolvibili: molto più complicato, ma ritengo inevitabile, è il cambiamento del modello di governance, dall’erogazione del sussidio nazionale alla valorizzazione delle misure a livello territoriale. Questo chiama in gioco l’efficacia dei servizi, che deve essere sostenuta e potenziata, anche attraverso le tecnologie. L’assenza di servizi pregiudicherebbe infatti il funzionamento delle misure stesse. L’Italia ha tanto lavoro da fare: dovrebbe iniziare prendendo sul serio la conseguenza più drammatica dell’invecchiamento della popolazione….
Quale sarebbe?
L’invecchiamento in cattiva salute, o peggio ancora la non autosufficienza. Quello è il problema principale e dobbiamo attrezzarci per leggerne la complessità, che non può essere liquidata in maniera semplicistica. I sussidi sono una risposta parziale ai bisogno veri della popolazione: lo dimostra il fatto che l’Italia ha speso tantissimo in sussidi negli ultimi anni, ma i poveri sono aumentati. Qualcosa evidentemente non va: abbiamo scelto priorità inadatte ad affrontare problematiche emergenti, come appunto la non autosufficienza. Nel frattempo, perdiamo reti di solidarietà familiare e territoriale e aumenta il numero di persone statisticamente a rischio povertà e isolamento. Il tema dell’impoverimento delle reti familiari e territoriali è da rimettere al centro: se non si affronta questo problema, intere comunità esploderanno, rimarranno prive di servizi, con anziani soli e non autosufficienti. Ci sono dinamiche demografiche della popolazione che hanno effetti esplosivi e non si possono affrontare soltanto con i sussidi. Dobbiamo fare riflessioni complesse e, da parte nostra, come Comitato scientifico stiamo provando a farle. Serve poi naturalmente la volontà politica per trasformarle in azioni.
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