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Premure da marciapiede

Erri De Luca ci propone il racconto di una personale memoria per capire come la pietà stia in un gesto

di Erri De Luca

Mi capita regolarmente d?essere spietato. Tutte le volte che vengo esortato da un imbonitore di pietà: il bambino iugoslavo servito caldo di dolore nell?ora di massimo ascolto, la voce sobria ma accorata che guarnisce l?immagine: dietro fa capolino il compiaciuto cuoco del programma che fa della pietà una pietanza. All?intimazione di commuovermi oppongo un rifiuto integrale. Elias Canetti ha scritto: «chi mi consiglia un libro me lo strappa di mano, chi lo esalta me lo guasta per anni». Proprio questo succede a me per la pietà: o essa è una scoperta interiore, una insurrezione emotiva scaturita anche da una piccola pena, o non è. Al diavolo gli imbonitori di pietà Non si può persuadere qualcuno a provare una pietà. Pietà è prendersi un bambino storpiato dalla guerra cui hanno ammazzato la madre, fargli passare di nascosto la frontiera, curarlo, ottenerne l?affido. Pietà è farlo senza averci pensato prima, farlo perché ci si è imbattuto in quel caso per caso da passanti distratti. Pietà è un gesto accidentale, non una virtù permanente. Ha bisogno di occasione e di prossimità: posso provarla per una bestia come per una creatura umana purché cada sotto i miei sensi poco vigili, nel mio minimo raggio. Riesco ad avere pietà solo per il prossimo, che non è la larga umanità remota che si intende oggi con questo termine, ma il suo antico senso di superlativo della parola ?vicino?, il vicinissimo, l?estraneo che inciampa un passo avanti a me. Tentare un gesto di simpatia o di soccorso diventa allora urgente e mi sento responsabile di colpa se non reagisco da pronto. Pietà è rispondere presto a un affanno, è velocità di riflessi del cuore. La poca pietà che conosco sente e vede bene da vicino, male da lontano, è miope. La pietà che ho visto reagisce spingendo fuori di casa incontro al grido vicino. Non sa niente di giustizia: può accendersi per chi ha torto, per il reo, per la madre snaturata. È un moto irruento, un calcio nel sangue che dà l?energia anche minima di un sorriso, di un cenno cordiale che non lascia soli. Lo spicciolo cavato di tasca è sordido se lo dò senza guardare in faccia, tirando via senza un rallentamento del percorso per scambiare un?ombra d?intesa. Sono pochi anche quelli che sanno chiedere con l?azzardo e la generosità interiore di rivolgersi da persona a persona, tirandosi fuori dalla folla anche solo con gli occhi per quella domanda. Fu il mendicante a farmi la carità Lavoravo a Milano in un cantiere edile più di dieci anni fa e avevo la rara fortuna di abitare nei paraggi. A mezzogiorno andavo a piedi a casa a mangiare per poi tornare entro un?ora. Lungo la strada incontravo un mendicante, un uomo con i capelli bianchi, anziano ma non vecchio. La prima volta avevo in tasca mille lire, gli detti quelle. Mi precedevano di pochi passi dei ragazzi che al suo gesto di chiedere avevano risposto con una pres in giro. Gli vidi in faccia lo scatto muscolare di una pena, il rinculo di un colpo subito, per quello tirai fuori le mille lire. Così ogni giorno passavo nell?ora di intervallo e gli davo mille lire. Poi non lo vidi più, finché mi accorsi che si nascondeva al mio passaggio per non togliermi quei soldi. Fu così lui a farmi la carità più profonda di lasciarmi con mille lire in più, a fare un gesto segreto di affetto per l?operaio sgualcito di mezzogiorno. E questo non vuole dimostrare niente, solo dire che tra due esseri umani è infinito il grado di premure che possono offrirsi incontrandosi al pianoterra di un marciapiede. I racconti dell?estate settimana per settimana Continua la nostra rassegna di racconti scritti da alcuni dei più affermati, ma insieme scomodi, scrittori italiani. Dopo i cicli dedicati alle città (1995), alla tv (1996) e all?essere padri e figli (1997) quest?anno è a tema la carità. Sul n. 28 di Vita ha aperto la serie il racconto di Adriano Sofri, ?Il cuore di Kadid?, scritto per noi dal carcere di Pisa. La scorsa settimana (n. 29) è toccato a Franco Loi con ?Quel portafogli caduto dal cielo?. In questo numero ospitiamo un racconto di Erri De Luca. Seguiranno: Raul Montanari, Guido Conti, Enzo Fontana, Luca Doninelli, Dario Voltolini e Aurelio Picca Erri De Luca: la poesia di uno ?scrittore operaio? Erri De Luca è nato a Napoli nel 1950. Si è affermato negli ultimi anni come una delle voci più genuine e sofferte della narrativa italiana, nonché come forse l?unico esempio nostrano di scrittore-operaio, De Luca, infatti, non ha mai rinunciato al suo lavoro di operaio che gli consente, dice lui, di mantenere il contatto con la realtà. Studioso di ebraico e della Bibbia (ha tradotto l?Esodo e il libro di Giona), editorialista del ?Corriere della Sera?, De Luca si definisce ?volontario per caso?, infatti da anni conduce un camion trasportando aiuti alimentari e volontari in Bosnia. Tra i suoi romanzi, tutti da Feltrinelli, segnaliamo ?Non ora, non qui? (1989), ?Una nuvola come tappeto? (1991) ?Aceto, Arcobaleno? (1992), ?Fahreinheit 451? (1993), ?Prove di risposta? (1994), e il recentissimo ?Tu, mio?. Per la nostra serie di racconti, De Luca ha scelto un brano di un libro poco conosciuto ?Pianoterra? (ed. Quodlibet).


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