Professioni di cura e questioni di senso

di Marco Bianchi

In una ricerca sviluppata sul territorio lombardo nel 2010, Cisl Lombardia, Cisl Scuola Lombardia con la Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano, hanno scelto di indagare su alcune “professioni di cura” (insegnanti, personale sanitario ed assistenti sociali) oggi, molto più di ieri, poste di fronte alla difficile conciliazione tra senso e tecnica e che, specie in Lombardia, sono nell’epicentro di una trasformazione di tipo contrattuale ma, sembra, anche vocazionale.

Oggetto della ricerca: verificare come l’impatto delle trasformazioni in campo lavorativo e professionale abbiano inciso su professioni che, fin nel recente passato, eleggevano il contenuto di senso quale spinta originaria della propria vocazione.

Le professioni indagate nel corso della ricerca rappresentano una importante componente dei cosiddetti sistemi di protezione sociale.

Nella seconda metà del secolo scorso nel nostro Paese  si è  definito un sistema di istruzione pubblica e obbligatoria, un sistema sanitario nazionale in funzione di tutela della salute per la cittadinanza, un sistema di servizi di assistenza alla persona in funzione di riduzione delle diseguaglianze e della marginalità e fragilità sociale.

L’attuale tendenza evidenzia una progressiva tecnicizzazione procedurale e una frammentazione specialistica sempre più separata dalla questione di senso che coniugata agli imperativi economicistici, rischia di entrare in diretta contraddizione con le esigenze sociali e umane dei lavoratori.

Alcuni elementi su cui riflettere.

Spostamento dell’asse strategico dall’approccio politico-pubblico del governo a quello tecnico-economico della governance( decentralizzazione delle funzioni e delle responsabilità). Implementazione della logica della sussidiarietà verticale che tende a trasferire dalla dimensione statale agli apparati locali (Regioni, Province, Comuni – vicinanza tra istituzioni e cittadini destinatari dei servizi) le competenze nell’organizzazione dell’erogazione dei servizi nella convinzione che il territorio possa cogliere meglio e con maggiore tempestività i bisogni sociali in gioco nei servizi. Si stabilisce dunque la possibilità di una maggiore differenziazione nell’erogazione dei servizi attraverso una gestione sempre più autonoma rispetto al governo centrale.

Spostamento dell’asse di riferimento dalla logica statale a quella del mercato.

L’idea, a partire dalla doppia constatazione delle difficoltà delle istituzioni pubbliche e della potenza del mercato, è quella di introdurre nell’organizzazione delle professioni di cura la flessibilità e l’efficienza economica tipiche della logica dell’imprenditorialità privata. Si assiste ad una duplice trasformazione: da un lato l’istituzione pubblica tende a trasformare il suo ethos burocratico amministrativo tentando di assumere caratteristiche tipiche dell’imprenditorialità privata quali l’attenzione ai costi di gestione attraverso l’ottimizzazione delle pratiche e l’efficienza dei processi; dall’altro si favorisce l’ingresso nel mercato dei servizi pubblici di attori privati secondo una logica di sussidiarietà orizzontale.

Passaggio dell’attenzione dai significati culturali delle professioni alle loro funzioni tecniche, caratterizzato da una crescente attribuzione di importanza al “come fare” tecnico della professione piuttosto che al “cosa fare” culturale della professione, quindi una crescente importanza attribuita alla definizione dei mezzi piuttosto che alla riflessione sui fini. La logica che informa questi scostamenti strategici agisce su un duplice binario che da un lato trasferisce il cuore delle pratiche dalla dimensione umana a quella tecnica, dall’altro sposta l’asse della responsabilità dall’istituzione ai soggetti.

Questa logica presenta ricadute su almeno quattro questioni più ampie e più importanti.

Una questione antropologica. In gioco qui è la stessa idea di uomo che implicitamente emerge.

Una questione etica. Lo scaricamento di esigenze e problematiche sociali al livello delle responsabilità individuali. Fin dove arriva il mandato etico? Quali le priorità, e quali gli orizzonti di senso in base ai quali orientare l’azione e l’intervento?

Una questione di riconoscimento sociale.  Le professioni indagate (insegnanti, personale sanitario ed assistenti sociali) evidenziano un drastico ridimensionamento di status, con un sopraggiunto squilibrio tra attese e possibilità. Come è  stata recepita nelle biografie di queste figure professionali e come si è  tradotta nelle loro prassi lavorative.

Una questione istituzionale. Nel quadro di  ridefinizione degli assetti istituzionali relativamente all’armonizzazione su scala nazionale dei servizi il problema è su chi debba avere l’ultima parola in materia di organizzazione dei servizi qualora si pongano discrasie a livello di territori e comunità locali. Chi decide dell’adeguatezza delle prestazioni rispetto ai diritti inalienabili dei soggetti coinvolti? Si tratta di stabilire a quale delle logiche coinvolte spetti il ruolo di garante delle finalità pubbliche dei servizi di cura e chi sia il responsabile ultimo del malfunzionamento dei servizi, se sia lo Stato, le amministrazioni locali, o i realizzatori privati del servizio.

Una questione sindacale.

Sia nei termini della disponibilità di questi lavoratori (insegnanti, personale sanitario ed assistenti sociali) a sostenere l’azione collettiva in un contesto in cui si assiste ad una privatizzazione e individualizzazione delle questioni lavorative e contrattuali, sia in quelli della capacità delle organizzazioni sindacali di sostenere adeguatamente questa difficile transizione e di sviluppare forme nuove di sostegno e difesa del lavoro.

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