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Profughi? All’Italia conviene dare più spazio alla diplomazia

«L’azione politico-diplomatica deve ritrovare lo spazio che le compete nel dialogo in Europa, in Africa, nel mondo», spiega Nino Sergi, presidente emerito di INTERSOS,  policy advisor di LINK 2007, «Senza di essa, grande è il rischio di crescenti contrapposizioni e di possibile disgregazione di quanto costruito negli anni per garantire il più lungo periodo che sia mai esistito di sicurezza, pace e benessere in Europa»

di Nino Sergi

Se per il Governo italiano era necessario dare un segnale agli Stati membri dell’Unione Europea, esso è stato dato: perfino dirigendo, fino a notte inoltrata, l’ “orchestra” dei capi di Stato e di Governo riuniti a Bruxelles il 28 giugno scorso, alla ricerca di suoni accordati che, in tutta evidenza, non potevano prodursi.

Il “segnale” dato all’Europa e i possibili effetti boomerang
Accordarsi sulla nota italiana, come un po’ altezzosamente qualcuno sperava, era agli altri leader europei evidentemente impossibile, anche nel caso in cui le ragioni fossero state tutte dalla parte dell’Italia. Scandaloso? Incapacità di decidere? No. Se il criterio primario delle decisioni politiche è, ormai, il consenso elettorale – che non coincide sempre con l’interesse del paese – ogni capo di Stato e di Governo suona, a sua volta, le proprie note; lancia cioè quei segnali che riescono ad evidenziare la propria autonoma decisione, la diversa posizione, in una contrapposizione che potrebbe non avere limiti.

Se questo modo di porsi non fa certo bene all’Europa (ed a quel processo federativo che dovrebbe ormai imporsi di fronte ad una globalizzazione che, volenti o nolenti, favorisce i più forti e strutturati), non fa bene ugualmente agli Stati membri che, con una politica tendenzialmente chiusa in una visione miope e distorta dell’interesse nazionale, sembra non colgano il comune interesse da perseguire con perseveranza e senza improvvisazioni, in un mondo radicalmente cambiato rispetto solo a due decenni fa e che muta più rapidamente di quanto riesca a mutare la vecchia Europa. Mondo in continua ebollizione e a rischio di contrapposizioni non esenti da possibili gravi conseguenze.

Conviene all’Italia il celodurismo di bossiana memoria? Evidentemente no. Intransigenza chiama intransigenza, con un possibile effetto boomerang. E non è certo un’alleanza tra intransigenze che può permettere di costruire il futuro: quello aperto che converrebbe all’Italia. Nessun beneficio avremmo, per esempio, dall’eventuale chiusura della frontiera al Brennero, come annunciato dai nostri vicini, solo per mostrare la propria intransigenza, anche se da mesi il passaggio di migranti irregolari è praticamente nullo. Il Governo italiano può sostenere e difendere meglio e più efficacemente le proprie proposte e i propri interessi dialogando, discutendo, anche francamente, motivando, creando alleanze per un maggiore coinvolgimento europeo e una responsabilità condivisa, ma non mostrando intemperanze e improbabili rigidezze.

Il Parlamento europeo e la revisione del Regolamento di Dublino
Una sana diplomazia politica avrebbe per esempio potuto trovare nel Paramento europeo un alleato, a difesa degli interessi italiani. Il nostro Governo ha invece rifiutato di prendere in considerazione le sue proposte di revisione del Regolamento di Dublino. Un rifiuto tanto netto quanto ingiustificato, che ha rafforzato le chiusure – tutte a svantaggio per l’Italia – e ha permesso al Consiglio di rinviare ogni discussione in merito. L’Assemblea parlamentare, dopo un anno e mezzo di approfondito lavoro nella Commissione Libertà civili, Giustizia, Affari interni, ha infatti approvato a grande maggioranza nel novembre 2017 una proposta di revisione del Regolamento, che tenta di coniugare fermezza e solidarietà, con regole chiare e incentivi a seguirle.

Essa prevede che da un lato tutti gli Stati membri, al fine di ridurre il peso sugli Stati in prima linea, dovranno accettare di condividere equamente la responsabilità dei richiedenti asilo e che dall’altro questi devono essere registrati e dovranno accettare di restare nello Stato membro che sarà individuato come responsabile secondo una nuova gerarchia di criteri che tiene conto dei collegamenti effettivi tra il richiedente e lo stato membro (presenza di familiari, favorendo i ricongiungimenti, precedenti soggiorni, anche per studio e formazione), eliminando la disposizione del primo paese di arrivo per la valutazione delle richieste di asilo. Laddove poi non fosse possibile applicare i criteri previsti, i richiedenti verrebbero ricollocati tramite un meccanismo di assegnazione automatico, secondo quote calcolate sulla base del PIL e della popolazione, con la possibilità di esprimere una preferenza in una lista di stati con il minor numero di richieste di asilo in riferimento alla loro quota. Lo Stato membro di assegnazione diventerebbe quindi competente ad esaminare la domanda, assicurando la permanenza del richiedente sul proprio territorio. Viene eliminata la possibilità di sottrarsi al meccanismo attraverso il pagamento di una quota e gli Stati inadempienti sono penalizzati sia con limitazioni nell’accesso ai fondi europei sia con l’impossibilità di utilizzare i fondi per il rimpatrio dei non aventi diritto all’asilo. Il Parlamento europeo esclude quindi qualsiasi chiusura ‘protettiva’ dei confini e conferma il trattato di Schengen e la libera circolazione.

Delineare e proporre una politica complessiva per contare
Le conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno, con i 12 punti sulla migrazione, evidenziano la mancanza di una politica complessiva, necessaria per riuscire a governare l’immigrazione; nella quale inserire in modo coerente i vari provvedimenti, senza improvvisazioni sollecitate dall’emotività e da emergenze. Né il Consiglio ha chiesto alla Commissione di aggiornare e ridefinire quanto già elaborato negli anni precedenti sulle politiche migratorie. Le proposte italiane di uscire dall’approccio emergenziale e di considerare ogni ingresso in Italia come ingresso in Europa sono state recepite, rimanendo però solo enunciazioni di principio, che riprendono concetti già contenuti in precedenti documenti e che sono state comunque smorzate dalle successive opzioni e contrapposizioni nazionali. Senza una visione complessiva e conseguenti decisioni che attuino una altrettanto complessiva e coerente strategia politica, nessun intervento potrà essere efficace al fine del governo delle migrazioni.

L’Italia può proporre all’Europa questa visione ampia, a rafforzamento delle proprie posizioni e giuste richieste. Visione che tenga presenti le cause della spinta migratoria ed i paesi e le comunità di provenienza e di transito; la lotta ad ogni traffico di esseri umani e all’immigrazione illegale; la necessità di ingressi regolari, anche sulla base dei bisogni italiani, per combattere quelli irregolari; la salvaguardia della vita umana, anche in mare; il dovere di garantire protezione e asilo; le strutture di accoglienza; l’inserimento sociale e l’integrazione; i minori non accompagnati; i diritti umani e i doveri di convivenza civile e cittadinanza; l’educazione e la formazione; l’impegno degli Enti Locali e delle Regioni; la valorizzazione delle diaspore organizzate; la corretta informazione, le errate percezioni, le paure; lo sviluppo di partenariati con i paesi e le comunità di provenienza; la cooperazione internazionale ad interesse e beneficio reciproco; gli accordi di rimpatrio; la sicurezza … E’ un lavoro che deve coinvolgere, con un approccio interistituzionale, governo, istituzioni pubbliche nazionali e territoriali, organizzazioni del terzo settore e solidaristiche impegnate in Italia e nei paesi di provenienza e di transito, diaspore radicate nei territori, mondo imprenditoriale, accademia…

L’importanza delle relazioni politiche
La Presidenza del Consiglio e il Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale
sono la garanzia della buona gestione delle relazioni politiche europee e internazionali, anche in materia migratoria, nel quadro delle opzioni governative. Esse richiedono ampia e lungimirante visione, capacità diplomatiche, perseveranza nel dialogo, costruzione di solide alleanze, coerenza politica: che nessuno dei singoli Ministri, delegati a responsabilità certo molto importanti ma settoriali, può garantire. L’azione politico-diplomatica deve ritrovare lo spazio che le compete nel dialogo in Europa, in Africa, nel mondo. Senza di essa, grande è il rischio di crescenti contrapposizioni e di possibile disgregazione di quanto costruito negli anni per garantire il più lungo periodo che sia mai esistito di sicurezza, pace e benessere in Europa.

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