Mondo

Profughi, tragedia umanitaria in corso

Le voci dal campo di Jalozai raccolte dall'Ong Cesvi

di Redazione

Sono già 683.550 gli sfollati nelle regioni di KPK e FATA e sono circa 3.000, secondo gli ultimi dati OCHA, le famiglie che ogni giorno arrivano nel campo Jalozai, Nowshera. Non si ferma il numero delle persone costrette ad abbandonare le proprie case a causa dell’operazione di sicurezza, tuttora in corso, condotta dal Governo nel nord-ovest del Pakistan. L’azione, avviata già da alcuni mesi, mira ad eliminare le milizie talebane -per lo più gruppi fondamentalisti pakistani e afghani di diverse provenienze ideologiche- presenti nella zona. Nel corso di queste operazioni, che pare si protrarranno per i prossimi sei o nove mesi, interi villaggi vengono bombardati. Gli abitanti sono avvertiti con un minimo di preavviso, talvolta solo il tempo di recuperare pochi averi personali (per saperne di più).

In risposta a questa emergenza Cesvi, presente nel Paese dal 2006,si è mobilitato con un’attività di monitoraggio nell’area di Nowshera, avviata a metà marzo e all’indomani del primo grande afflusso di sfollati nel campo di Jalozai e nelle aree circostanti.

Tra gli sfollati c’è, Pari, cheha 58 anni, anche se ne dimostra molti di più. È vedova ed è nata e cresciuta nel Distretto di BARA (Khyber Agency), nelle FATA (Federal Adminisistrated Tribal Areas) al confine con l’Afghanistan. A causa delle operazioni militari ha dovuto fuggire e abbandonare il suo villaggio per rifugiarsi in un villaggio nell’area rurale di Peshawar.

“La mia vita era normale prima di dover scappare. Con la mia famiglia avevamo un piccolo negozio che vendeva poche cose ma era sufficiente a mantenere tutta la famiglia. Eravamo felici. Poi tre anni fa, quando le milizie extragovernative sono entrate ed hanno preso il potere, tutto è cambiato. Le condizioni di vita sono peggiorate improvvisamente e mio marito è morto a causa di una malattia. Mio figlio è stato catturato e brutalmente ucciso dai miliziani. Oltre a loro abbiamo perso anche quel poco che avevamo per vivere”, racconta la donna. Ora Pari vive con la figlia, le nipotine e il genero in una misera stanza in affitto. Le condizioni igieniche sono pessime. A fare loro compagnia solo le poche cose che sono riuscite a prendere al momento della fuga da Bara.

“Quella di Pari e’ solo una delle migliaia di storie, tutte molto simili, dei rifugiati in fuga dai bombardamenti che il governo sta operando nelle FATA per mettere fine al conflitto”, spiega Piero Fiore, rappresentante del Cesvi in Pakistan. Stando agli ultimi dati divulgati dall’Alto Commissariato della Nazioni Unite per i Rifugiati UNHCR sarebbero oltre 52.000 le famiglie profughe da ottobre, mese in cui sono iniziate le operazioni. Nei prossimi mesi si prevede che diventeranno oltre 65.000, mezzo milione di persone di cui almeno un terzo bambini e ragazzi al di sotto dei 15 anni.

“I nostri ragazzi non possono andare a scuola e con quello che guadagna mio genero, lavorando a giornata, riusciamo a malapena a pagare l’affitto di casa, circa 50 euro al mese. Speriamo che la nostra vita possa ricominciare presto. Quello che nessuno ci restituirà mai è l’affetto dei nostri cari”, prosegue sempre Pari.

All’interno del Jalozai Camp vive da tre mesi anche Amina Bibi. Ha abbandonato  la sua casa a causa delle operazioni militari in corso nella Khyber Agency e si occupa da sola delle figlie, poiché il marito, dopo essersi avvicinato alla droga, non è più in grado di lavorare. “È lei a dover sostenere la famiglia. Riceve assistenza dalle organizzazioni umanitarie ma non le basta. Cerca di ottenere lavori occasionali fuori dal campo ma, essendo donna, ha diversi problemi a spostarsi all’esterno del campo”, aggiunge Fiore.

 La presenza massiccia di rifugiati nella zona, oltre alla mancanza di cibo e lavoro, sta creando anche gravi problemi di stabilità e di ordine pubblico. Una problematica che sta assumendo proporzioni preoccupanti in un contesto dove la criminalità era, fino a qualche tempo fa, un fenomeno molto limitato. Queste le parole di Aine Faine, coordinatrice del Pakistan Humanitarian Forum che riunisce 47 organizzazioni umanitarie operanti in Pakistan e di cui CESVI è membro dal 2009: “Le stime condotte al di fuori dal campo profughi nei Distretti di Nowsheera, Peshawar e Khoat rivelano dati allarmanti. Oltre la metà delle famiglie rifugiate non riesce a registrarsi e questo le esclude dalla possibilità di ricevere aiuti di ogni genere”.  

Le organizzazioni del Pakistan Humanitarian si augurano che questa situazione venga resa pubblica anche in Occidente. Una risposta umanitaria consentirà di assicurare almeno i bisogni più urgenti di queste persone.

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