Famiglia

Protezione civile, il non profit nel motore

Associazioni, Dipartimento e Regioni: chi fa cosa

di Redazione

Esistono due norme distinte per regolare l’afflusso
del volontariato in caso
di disastri. Agli esperti di pronto intervento è riservata una corsia preferenziale. «Ma le altre realtà non sono escluse, devono però adeguarsi», spiega Roberto Giarola, responsabile del servizio Volontariato del Dipartimento
La gestione dell’emergenza ha visto, nelle prime ore, una presenza media quotidiana di 6mila volontari con picchi di 9mila presenze. Oggi, con la fine della primissima emergenza sono 3mila i volontari impegnati all’Aquila, organizzati in équipe di 20 persone distribuite nei 140 campi tuttora in funzione. Considerando i turni e il fatto che lo stesso volontario può essere stato impiegato per più periodi durante questi quattro mesi, sono state effettuate 500mila giornate lavorative. In totale sono giunti nella conca aquilana 65mila volontari.

Associazioni&Regioni
La Protezione civile è stata una macchina quasi perfetta, ammirata dai potenti di tutto il mondo all’Aquila per il G8, che in alcuni casi, come ama raccontare orgoglioso Bertolaso, hanno chiesto di poter mandare propri contingenti ad imparare.
È un meccanismo affinato col tempo, modificato sulla base degli interventi passati e che migliora di emergenza in emergenza. «Tutto si poggia su una rete costituita da due grossi filoni di operatività per l’attivazione del volontariato», spiega Roberto Giarola, responsabile del servizio Volontariato del Dipartimento. Il primo è costituito da una serie di organizzazioni di rilievo nazionale, che vengono attivate direttamente. Grandi associazioni, come Anpas, Ana, Misericordie e Legambiente, dotate di strutture particolarmente articolate soprattutto dal punto di vista delle capacità professionali e territoriali. «Il secondo filone, struttura che si è molto consolidata in questi anni, è quella delle colonne mobili delle Regioni», continua Giarola. Le Regioni a loro volta coordinano le realtà di volontariato locale, che talvolta fanno comunque parte di circuiti nazionali, a cui si aggiungono le microrealtà locali che non sono associate ai grandi network. Il sempre maggior consolidamento degli enti locali e l’aumento del loro ruolo nel sistema è cominciato nel 1998, anche e soprattutto nella mobilitazione del volontariato. «Nella pratica», sintetizza Giarola, «di fronte ad una grande emergenza si attivano contemporaneamente i due canali». Inoltre, a seconda della calamità da affrontare, possono essere attivate specifiche associazioni. Come è accaduto in Abruzzo con le unità cinofile.

Due binari paralleli
Il meccanismo però ha bisogno di una struttura e di differenziazioni, per poter funzionare a dovere. «La normativa di Protezione civile fa rinvio ad uno specifico regolamento che è il dpr 194 del 2001», spiega Giarola, «è l’ossatura, lo strumento grazie al quale noi riusciamo a gestire tutto il rapporto con il volontariato». L’adozione di una normativa particolare per le associazioni di volontariato che fanno parte della rete di protezione civile si spiega con la necessità di precisi criteri operativi, pratici e di professionalità. Sì, perché ci sono diversità tra il volontariato classico e quello dell’emergenza e del soccorso. Il volontariato comune è una forma organizzata sul tempo libero del volontario. Il sistema di Protezione civile – in cui le associazioni di volontariato sono una componente importante, con funzioni di soccorso assistenza e logistica – in caso di grandi calamità deve invece dare disponibilità a tempo pieno per un periodo che va, per ogni volontario, da una settimana fino ad un massimo di dieci giorni. La Protezione civile italiana è una struttura molto funzionale e unica: nessun altro Paese può vantare un sistema basato su un volontariato così tecnico e preparato. Per raggiungere questo livello di efficienza, occorrono però regole precise e modalità concordate. Spiega Giarola: «Si è fatto in modo che il lavoratore volontario possa, per il tempo necessario, lasciare il lavoro senza perderlo, e che riceva una formazione continua in modo da poter operare sempre con efficacia ed efficienza e con le tecnologie più adeguate». Volontariato diverso, quindi normativa differente.

Collaborazione necessaria
Altro fattore importante: i volontari di Protezione civile devono essere autosufficienti. Altrimenti il pericolo è che «l’arrivo dei volontari sia una complicanza e non una soluzione», dice Giarola, «perciò chiamiamo gente attrezzata e autonoma. Cosa che le associazioni di volontariato classico non possono garantire».
Rispondendo a due leggi differenti (legge quadro 266/91 per il volontariato in genere, legge 255/92 per quello di Protezione civile), si possono però creare problemi di rapporto anche normativo tra i due diversi filoni. E può risultare difficoltosa l’interazione tra i due mondi. «Per quello che riguarda il rapporto con il resto del volontariato ci sono due considerazioni da fare» conclude il responsabile del servizio Volontariato, «una generale, che considera come le disposizioni contenute nel dpr 194 all’articolo 13, permettano di coinvolgere anche, a determinate condizioni, associazioni che normalmente non fanno parte del nostro sistema». La seconda è più specifica: «In una situazione di emergenza stabilizzata come quella che sta vivendo il capoluogo dell’Abruzzo, in cui oggi la prima urgenza è l’organizzazione dell’assistenza, a noi spetta il compito di garantire un livello di vita adeguato. Per questo stiamo favorendo il coinvolgimento dei progetti di associazioni esterne al nostro sistema. Questo naturalmente deve avvenire con raziocinio. Le proposte devono armonizzarsi con la realtà dei campi e con la loro gestione».

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