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Qualche buon proposito in quest’Italia americana

Il presidente Bush ritrova un appoggio in Europa con la vittoria di Silvio Berlusconi: si precipita infatti a complimentarsi con lui

di Giuseppe Frangi

Il primo a complimetarsi con Silvio Berlusconi per la sua vittoria, precedendo anche Ciampi, è stato il presidente americano George Bush. E Bush ha due buoni motivi per essere contento: dalle urne è uscito un paese davvero americano, maggioritario e televisivo al 100%. E, soprattutto, ha ritrovato nell’Italia la “seconda gamba” che con quella inglese aveva sempre avuto in Europa. Un fatto molto significativo, perché cade in un momento di grandi tensioni tra Usa e Vecchio continente (sfociato nella clamorosa esclusione degli Stati Uniti dalla Commissione per i diritti umani ad opera di Francia, Svezia ed Austria). Intendiamoci, non c’è nulla di illegittimo in quanto è accaduto il 13 maggio. La conta dei voti non lascia adito a dubbi e le alchimie politiche del Polo sono state certamente più azzeccate di quelle elaborate dall’Ulivo. La vittoria del Cavaliere era nell’aria e nella logica delle cose, la sinistra ha fatto di tutto perché maturasse, ricorrendo ad una strategia perdente in tutto, a cominciare da quel suo ostinato senso di superiorità, stigmatizzato da Luca Ricolfi in un recente pamphlet. Però qualche osservazione ci sembra giusto farla. Nel prossimo parlamento non troveranno posto numerose forze che non hanno superato la soglia del 4%, a conferma che quella correzione antiproporzionale fallita con il mancato quorum al referendum del 1999, è stata imposta sottobanco dalla conduzione della campagna elettorale. E’ infatti difficile pensare di ottenere un risultato decente quando alla televisione si è chiamati solo per commentare il risultato delle elezioni. Chi li aveva visti infatti nell’ultima settimana i vari Bonino, Di Pietro, D’Antoni, Bertinotti? Così per tre su quattro di loro non ci sarà praticamente rappresentanza parlamentare, mentre il solo Bertinotti ce l’ha fatta, pur arrivando in porto con una percentuale quasi dimezzata rispetto al 1996. Si può pensarla come si vuole, ma un parlamento senza Pannella è un parlamento impoverito. Eravamo del parere che la democrazia più è in grado di rappresentare le differenze più è sana, e di questo parere restiamo. In secondo luogo è giusto dare un’occhiata ai numeri. L’astensionismo temuto non c’è stato, anzi, per imperizia del Governo (l’autolesionismo della sinistra si è trascinato sin dentro i seggi…) si è assistito ad una corsa al voto come quelle che si scatenano nella stagione dei saldi. Eppure il rapporto tra aventi diritto al voto e voti espressi per la nuova maggioranza, ci dice che il Polo ha il consenso del 31,5% del paese: siamo berlusconiani, ma non tanto come ci dipingono. Come ha commentato un Fausto Bertinotti giustamente soddisfatto: “Non pensiate che siamo dei sudditi”. Terza considerazione. La sinistra che ha fatto tanti errori in questi mesi, eviti quindi di farne un altro, scatenando in Italia un clima da guerra civile. L’Italia non ne ha certo bisogno. Ha bisogno invece di un’opposizione più aperta al nuovo, più capace di interpretare concretamente le domande di solidarietà e di giustizia, più intelligente nel favorire una vera libertà sociale. Forse questa è la premessa per costruire una base di consenso che non sia fondata soltanto sulla demonizzazione di un nemico ma sappia farsi carico di tante speranze. E sappia rappresentare anche quelle differenze che oggi un sistena elettorale americano ha lasciato fuori dalla porta.


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