Non profit

Quale responsabilità sociale in contesti geografici difficili

Scambio di esperienze tra Csr manager al tavolo dei Reportisti anonimi

di Redazione

Reportisti anonimi è un gruppo di mutuo aiuto tra persone che hanno lo stesso “problema”: la responsabilità sociale. Nella sostanza si tratta di un tavolo di responsabili di Csr di grandi aziende, promosso da Vita Consulting, che si riunisce per condividere punti di vista ed esperienze. L’ultimo incontro, tenutosi a Roma in giugno, ha toccato un tema delicato: quello del rispetto dei diritti umani in contesti sociali e politici difficili in cui le aziende si trovano a lavorare.
La discussione ha preso spunto da una riflessione di Francesca Magliulo. Argomento: policy e diritti umani. «Come può un’impresa sviluppare una politica di tutela dei diritti, svilupparla, gestirne i processi e monitorarla in modo coerente, soprattutto in Paesi a rischio, dove il tema del diritto è spesso ignorato?».
Interviene Sabina Ratti di Eni provando da subito a suggerire un punto di vista nuovo della questione: «Sono convinta che le aziende occidentali non si debbano solo limitare a tutelare ma debbano anche promuovere il rispetto dei diritti umani. Eni ha preferito creare delle linee guida, evitando policy-manifesto in favore di procedure che entrano nel sistema operativo dell’azienda. Alle linee guida abbiamo poi affiancato un documento che si chiama “Aree di miglioramento sostenibilità” che individua le aree da potenziare, approvato direttamente dal cda e che contempla sempre tra le sue voci proprio la tutela dei diritti umani».
Replica Marina Donati di Generali, azienda che ha stilato un Codice etico ampio a cui ogni sede si adegua rispetto alle problematiche particolari del territorio. «Al momento non abbiamo una policy dichiarata», spiega la Donati. «La nostra azienda si rifà al proprio Codice etico e alla Carta sociale europea, redatti in collaborazione con il Comitato aziendale europeo. Abbiamo sperimentato come sia più utile lasciare ad ogni filiale l’onere di capire come affrontare le situazioni particolari, piuttosto che fare una policy generale che uniformi tutti. In Cina ad esempio, da parte di Generali c’è un forte controllo nei confronti degli stakeholder, monitorati e scelti con grande attenzione».
Il tema delicato del rapporto con i fornitori è stato messo sul tavolo da Glauco Degli Abbati di Telecom. «Ho lavorato in Brasile due anni e mezzo. Qui, nonostante la forte crescita economica, il lavoro femminile è molto meno retribuito e premiato di quello maschile. Quando l’azienda, vista la situazione, ha proposto a partner e fornitori dei corsi di formazione e controlli per cambiare il trend, si è dovuta scontrare con una risposta molto negativa. I problemi locali purtroppo nell’esperienza di Telecom si dimostrano difficilmente superabili, sia per la difficoltà di comprensione di alcuni diritti per noi evidenti, sia per la natura dei problemi, che risultano difficili da capire e risolvere. Un esempio è quello del lavoro minorile dei bimbi brasiliani. Il problema non è tanto che lavorino. Anzi, il più delle volte il fatto che lavorino permette di allontanarli dalla strada e dal traffico di stupefacenti. In conclusione l’unico modo per affrontare problematiche così particolari è, a nostro avviso, un lavoro quotidiano di stakeholder involvement».
«Secondo noi la vera efficacia del rispetto dei diritti si vede nella quotidianità», conferma Marco Mura di Vodafone. «Siamo una multinazionale e come tale siamo presenti in 35 Paesi. Nell’approcciare il problema teniamo conto di due fattori principali: la carta dei diritti umani e la realtà in cui ci troviamo ad operare. Secondo noi la vera efficacia del rispetto dei diritti si vede nella quotidianità, così Vodafone ha un codice etico che stabilisce che ogni partner debba essere mappato, sottoposto ad analisi del rischio, e quindi valutato. Nel caso in cui risulti “carente” in una delle voci sensibili, come sicurezza sul lavoro, impatto ambientale o sfruttamento di minori, non viene scartato ma gli viene proposto di lavorare insieme per risanare la situazione. È un percorso educativo aziendale da intraprendere per diventare nostro partner. Generalmente le imprese accettano per l’interesse economico di lavorare con noi».
Insomma, in tanti si danno da fare e ognuno cerca strade differenti rispetto al proprio business e alle proprie esperienze.
Sebastiano Renna, Csr manager Granarolo (anche presidente del Csr manager Network Italia e blogger su Vita.it nella sezione Csr), impossibilitato ad essere presente, ha fatto avere uno scritto. Eccone alcuni passaggi: «Considero sostanzialmente inappropriata e priva di sbocchi la via della produzione di policy volontarie: al proliferare di codici di condotta, impegni ufficiali, protocolli di comportamento assunti volontariamente dalle multinazionali operanti nei Pvs corrisponde un altrettanto crescente volume di dati e informazioni che certificano con cadenza quasi quotidiana la sostanziale inefficacia di tali iniziative». Conclude Renna: «Affidare alla sola produzione di policy e codici etici la limitazione o la rimozione del fenomeno rappresenta un approccio un po’ troppo riduzionista al problema stesso». Al prossimo appuntamento dei Reportisti anonimi la replica…

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