Mondo
Quel cooperantebnel mirino dei boss
Un consigliere comunale sarebbe il mandante delbdelitto che ha scosso il mondo delle ong in Brasile. bStavolta la polizia ha fatto il suo mestiere
di Redazione
S olo i giornali locali italiani e brasiliani hanno scritto di Riccardo Ferretti da Bibbiano, provincia di Reggio Emilia, che a La Collina, la comunità fondata da don Lorenzo Braglia che a Codemondo recupera tossicodipendenti da oltre 30 anni, conoscevano tutti perché ci aveva lavorato come volontario. Tre anni fa Riccardo aveva deciso di trasferirsi in Brasile per salvare bambini di strada nello Stato di Bahia, ma purtroppo il suo sogno è stato infranto lo scorso 24 settembre da colpi di pistola esplosi a bruciapelo a Sitio do Conde, località nello Stato di Bahia nel Nord-Est del Brasile. Un’esecuzione in piena regola.
Sull’omicidio di Riccardo Ferretti ha indagato la polizia brasiliana e, dopo oltre un mese di indagini serrate, Edimilson Leite, noto ai più come “Tuca”, ha confessato alle forze dell’ordine locali di essere stato lui a premere il grilletto. L’uomo però ha anche rivelato che in realtà avrebbe agito su mandato di Josevaldo Azevedo Brito, 56enne consigliere comunale di Conde.
Il movente dell’assassinio è legato all’attività di volontariato di Riccardo Ferretti, che proprio nelle settimane prima di essere ucciso si stava battendo perché la sua associazione, la Jangada, fosse riconosciuta dall’amministrazione locale “di pubblica utilità”. Inoltre, il giorno del delitto, Ferretti era stato chiamato al telefono dallo stesso consigliere Brito – l’oppositore più accanito al riconoscimento della Jangada – per fissare un appuntamento che poi, purtroppo, si è rivelato una vera e propria imboscata. Ma non è tutto.
Da fonti locali si è scoperto che Ferretti non è morto subito e che durante il trasporto verso il più vicino ospedale ha fatto in tempo a ripetere agli infermieri il nome “Dodo”, cioè il soprannome con cui è chiamato dagli amici il consigliere comunale. Per gli inquirenti, dunque, dietro il delitto di Riccardo Ferretti da Bibbiano ci sarebbe un’organizzazione criminale operante nel settore del narcotraffico, strettamente legata a politici locali, che non “gradiva” il lavoro svolto da Ferretti con i bambini in difficoltà.
Il caso di Riccardo Ferretti non è isolato. Padre Michele Piscopo, che oggi è il nuovo superiore generale dei Giuseppini, per anni è stato parroco nella chiesa di Santa Edwiges a San Paolo, in una delle zone più povere della metropoli brasiliana, la favela di Heliopolis. Anche lui ha vissuto sulla sua pelle la violenza dei narcotrafficanti, anche se fortunatamente ne è uscito illeso, a differenza di Riccardo. Ci dice: «Mi raccomando, scriva che per noi missionari non ci sono misure di sicurezza standard come giubbotti antiproiettile o macchine blindate, ma solo la fede e la fortuna, che per me è rappresentata da questo muretto».
La vita di chi opera nel sociale nelle zone più degradate del Brasile, laico o religioso che sia, è sempre a rischio, né più né meno di quella di chi opera nelle missioni umanitarie militari in Iraq o in Afghanistan. No, non è un’esagerazione perché la convivenza sempre più difficile tra volontariato internazionale e le realtà locali brasiliane, spesso devastate dalla grande e piccola criminalità, è ricca di casi di morte violenta di cooperanti. Lo scorso anno il caso più efferato: tre francesi volontari dell’ong Terra Ativa, che aiuta i bambini delle favelas di Rio, sono stati massacrati da una banda guidata proprio da uno dei minori che l’organizzazione non governativa aveva aiutato.
Eppure la vita delle ong continua senza particolari misure di sicurezza. Connessione con il territorio e buoni rapporti di vicinato con tutti sono le regole d’oro per riuscire a portare a casa non solo i risultati ma anche la pelle. Certo è che l’elemento destino gioca il suo ruolo. E, come è stato per Riccardo Ferretti, purtroppo può essere decisivo.
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