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Quel gesto antico che aiuta a colmare le distanze

Inizia il digiuno rituale dei musulmani. Paolo Branca, islamista della Cattolica di Milano e promotore di Yalla Italia, spiega a Vita.it il significato di questa tradizione

di Paolo Branca

«Ramadàn karìm»: questa espressione che significa «Ramadan è generoso» è l’augurio che si scambiano vicendevolmente i musulmani durante il mese del digiuno auspicando che ciascun credente riceva, per l’astinenza praticata, i benefici spirituali promessi a chi adempie ai precetti con retta intenzione.

Un rito, dunque, e tra i più radicati e sentiti. Un gesto antico carico di significati intimi, ma basato anche sul rispetto per la tradizione comune.

Anche chi non lo osserva come si dovrebbe, per incostanza o leggerezza, non ne mette comunque in dubbio il valore e, almeno un po’, se ne sente coinvolto. Più o meno come certi cristiani non praticanti che per nulla al mondo rinuncerebbero alla Messa di mezzanotte a Natale.

D’altra parte, cominciare a digiunare è stato per quasi tutti i giovani musulmani una specie di rito di passaggio, l’iniziazione al mondo degli adulti, ma già da prima, durante l’infanzia, le riunioni conviviali nelle serate illuminate da lanterne multicolori, lo scambio dei doni, la mutata atmosfera e il ritmo differente della vita quotidiana hanno contribuito ad accrescere il valore di questo vero e proprio “tempo forte” dell’anno liturgico islamico nella mente e soprattutto nel cuore di ogni credente.
Questi aspetti collaterali alla pratica del digiuno talvolta finiscono col prevalere su quelli più sostanziali, fino al paradosso di una sorta di ribaltamento, con grandi spese per dolci e banchetti.

Proprio come succede a noi durante le festività natalizie, pesantemente segnate dal consumismo, ed esattamente come per i cristiani la festa maggiore – cioè la Pasqua – è stata “sorpassata” da quella relativamente meno importante, anche per i musulmani la “grande festa” del sacrificio che conclude il mese del pellegrinaggio è ormai da tempo meno “sentita” rispetto a quella della rottura definitiva del digiuno che conclude il Ramadan.

Chi ha lasciato la sua terra d’origine, dove ha ricevuto anche la fede come parte del patrimonio trasmessogli dai suoi padri, sente ancora di più quelle forme di culto che segnano lo scorrere del tempo, quasi a compensare la distanza dei luoghi tradizionalmente legati alla pratica religiosa.
Se l’immigrato musulmano spesso deve adattarsi a pregare in uno spoglio garage o nella penombra di uno scantinato, il digiuno che pratica nascostamente o in modo ostentato ovunque si trovi gli restituisce in parte la propria identità.

In questo periodo tormentato, poi, è fatale che gli atti di culto praticati dai musulmani – e specialmente quelli collettivi, come la preghiera comunitaria del venerdì o appunto il digiuno di Ramadan – si carichino di altri significati e vengano intesi come occasioni per mostrare soprattutto forza e coesione, per esprimere talvolta rivendicazioni o sognare riscosse…

La vena ascetica, il distacco dalle cure mondane, il domino di sé, la ricerca di Dio finiscono così quasi in sottordine, confuse se non soffocate da altre sollecitazioni. Lo specifico di ogni autentica esperienza religiosa, per sua natura portata al silenzio, alla contemplazione, all’ascolto… torna così a misurarsi con vecchie insidie e nuove possibili derive.

L’approssimarsi del nostro Avvento potrebbe indurci a una comune riflessione: troppi di noi dedicheranno più tempo agli acquisti e ai cenoni che alle cose dello spirito.
Tra loro forse altrettanti sentiranno maggiormente stimoli d’altro genere rispetto all’interiorità.
Entrambi corriamo il rischio di essere distratti dal vero senso del rito a favore di qualcosa che avrà sempre a che fare con la religione, ma più apparentemente che nella sostanza.


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