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Quella maligna tentazione di far tabula rasa

Le dichiarazioni del centro destra manifestano la volonta' di voler cancellare le leggi fatte dal precedente governo. Questa tendenza ha radici che vengono dagli Stati Uniti

di Giuseppe Frangi

Questo numero di Vita ospita un confronto interessante tra il probabile candidato al ministero degli Affari sociali, Gianni Alemanno, e colei che l’ha preceduto, Livia Turco. Alemanno è certamente una delle personalità più aperte della destra, attento non solo da oggi alle istanze del non profit. Dimostra anche uno sguardo a 360° sui problemi e le questioni che, se verrà davvero nominato, dovrà affrontare. Eppure nelle sue parole si scorge una volontà un po’ giacobina di azzerare quanto sin qui fatto: un tono che per la verità accomuna le dichiarazione dei vincitori delle elezioni e che è forse ancora dettata dall’euforia. Così Livia Turco ha gioco facile a ribattergli con una battuta di sicura efficacia: «Vedo una tendenza allo sfascismo». La Turco, al di là dei giochi di parte, ha indubbiamente ragione: sarebbe un grave errore, oltre che un danno per la collettività, buttare a mare leggi positive, come quella sull’assistenza, solo perché nate da una maggioranza di diverso colore politico. Ma non è questo il punto. Il punto è questa febbre da tabula rasa che sembra aver contagiato la nuova maggioranza. L’origine è in un germe d’esportazione, arrivato da Oltreoceano. Basta guardare la furia con cui George W. Bush sta guidando l’America a marcia indietro rispetto alle scelte e agli impegni presi negli ultimi anni. Da Kyoto al disarmo, dalle armi biologiche al nucleare, il presidente sta ridisegnando la politica della più grande potenza del mondo secondo la logica dei propri esclusivi interessi interni. È una sfida che l’America lancia al proprio passato recente, oltre che al mondo. Ma questa sfida, questa voglia di azzeramento è un sintomo di forza, o non è invece il segno di una grande debolezza? In realtà Bush, e non vorremmo anche Berlusconi, azzerando e tornando indietro si arrocca su un modello di sviluppo già condannato dalla storia. Il modello di un’industrializzazione forsennata e incurante dell’impatto umano e ambientale: le scelte di Bush sono già operative in questo senso, quelle di Berlusconi sono solo in pectore. Il cavaliere in campagna elettorale si è detto d’accordo con il presidente americano sulla mancata ratifica degli accordi di Kyoto (che la sinistra di governo aveva sostenuto come valore ma aveva contraddetto poi nei fatti). Inoltre il feeling preelettorale con l’avvocato Agnelli prelude a colate d’asfalto per soffiare sulla già spiccata vocazione automobilistica del nostro paese. Peccato che, per esempio, nel 2010 la Svizzera chiuderà le sue autostrade ai nostri Tir e forse sarebbe più intelligente pensare a una filosofia dei trasporti decisamente diversa. Sia Bush che Berlusconi bisognerebbe che leggessero un libro che ha segnato un’epoca e che è arrivato da poco in traduzione italiana. È La Società del rischio di Ulrich Beck, in cui il grande sociologo tedesco dimostra come il mito secondo il quale la società industriale sviluppata è una società del tutto moderna, è appunto solo un mito. Non è così, perché, come dimostra Beck, la società industriale o entra in una fase riflessiva in cui la determinazione dei rischi diventa dominante sulla determinazione dei profitti, o è destinata a un declino. Il ragionamento di Beck è affascinante e complesso, ma certamente è un monito che tutti gli euforici azzeratori di oggi dovrebbero ascoltare. A proposito di tabula rasa, l’ultima di Bush è l’idea annunciata dal suo segretario al Tesoro, Paul O’ Neill sul Financial times: abolizione di tutte le tasse sulle società e sul capital gain e abolizione totale della dell’assistenza pubblica sanitari e previdenziale. Che ne dice, onorevole Alemanno?


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