Mondo
quella voglia pazzescadi aprircie di raccontarci
Una redazione in rosa qual è il segreto della formula di «yalla»
di Redazione
Riuscire a parlare liberamente della propria fede e di come si vive la propria religiosità non viene sempre spontaneo. Per me è così intima l’esperienza del sentire l’Islam che non è automatico espormi e condividere l’argomento con chiunque mi capiti di parlare. Da piccola mi ricordo che a scuola, prima di mangiare, recitavo con gli altri bambini «Gesù Bambino, grazie per il cibo che ci hai dato, dallo anche ai bambini che non ne hanno. Amen». A casa invece il pasto era preceduto da questa formula: «Nel nome di Dio il misericordioso, il compassionevole».
Poi crescendo le preghiere sono diventate sempre più esperienze interiori e momenti di condivisione con la famiglia, non solo recitazioni per seguire le consuetudini. Spesso, purtroppo, il giudizio degli altri dipende da quanto uno è praticante o da quanto uno non lo è, a volte in modo positivo, a volte negativo, a seconda dei contesti. Per esempio, per alcuni atei io posso sembrare troppo conservatrice, mentre per alcuni musulmani troppo moderna e progressista, anche se credo che l’armonia sia interiore ed emerga solo quando la si sente veramente e quando chi ti guarda vuole sinceramente cogliere un po’ chi sei, andando oltre il velo dell’apparenza.
Nella nostra redazione abbiamo diversi modi di vivere e interpretare il Credo. C’è chi si definisce laico, chi ha riscoperto l’Islam, chi è sunnita, chi sciita, chi praticante, chi non vuole definirsi, chi riconduce la fede alla sfera privata, chi scettico, chi insiste sulla distinzione tra tradizione e religione e chi su una lettura storico-critica delle Sacre Scritture. In questo panorama variegato, però, la cosa che accomuna tutti è la voglia di interrogarsi, accompagnata dalla consapevolezza di non avere nessuna verità in mano.
I confronti avuti in questi mesi sono stati i primi che ho avuto con ragazzi di seconda generazione, avendo intorno fino a un anno fa solo amici puramente italiani. Uniti nella nostra diversità, ci siamo presentati e conosciuti per aspetti delle nostre personalità che ci caratterizzano, ma che non ci determinano o ci inchiodano per renderci riconducibili a una sola categoria. Il seguire o meno certi precetti non è stato un elemento di distinzione all’interno del gruppo. Gli scambi avuti in materia hanno permesso di far emergere il rispetto che ognuno di noi prova nei confronti dell’altro, per le scelte liberamente prese.
Questa voglia continua e stimolante di parlare di tutto, in modo nuovo e originale, critico e autocritico, dinamico e vivace, ha incoraggiato ad esporsi in prima persona e a porci tante domande che prima cercavamo di rimandare. Anche questo mi ha permesso di mettermi in gioco, misurandomi con me stessa e con gli altri. Così mi è capitato di condividere con i miei amici di Yalla una parte dell’intimità della mia fede. Oltre che un’esperienza umana meravigliosa, quella di Yalla, infatti, è stata ed è un’occasione per trovare persone che mi incoraggiano e mi apprezzano anche per il mio desiderio e il mio impegno a costruire ponti con le altre fedi monoteiste, uscendo un po’ allo scoperto e non tenendo velate alcune esperienze di condivisione e di reciprocità.
Tra queste esperienze, ho raccontato che nel mio cammino ho trovato una persona cara con cui condivido l’esperienza del pregare insieme ed è capitato di stare accanto anche in chiesa. Nella gioia della recitazione interreligiosa, abbiamo messo a disposizione il tesoro delle nostre tradizioni e pronunciato insieme versetti e sure. Non vorrei che questo a esperienza destasse stupore, vorrei che diventasse la normalità. Un po’ come nel linguaggio della mistica Rumi e San Francesco si sono in un certo senso incontrati, così io cerco di apprendere un linguaggio comune agli altri, andando oltre le distinzioni che creano solo muri.
Indubbiamente c’è la consapevolezza della diversità, che però dal mio punto di vista può solo arricchire e si può anche essere prossimi nella spiritualità e fedeli alla propria unicità. Nel mio piccolo mi chiedo se un giorno anche in tutto il Medio Oriente ci sarà un spirito alla “Yalla” in cui saranno allineati tappeti comuni, in una chiesa o in una sinagoga o in una moschea, e verrà lasciato alle spalle il conformismo religioso. E troveremo l’umiltà di parlare, insieme, il linguaggio del cuore e dell’umanità.
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