Hanno studiato la bambola certificata come pienamente ortodossa dal punto di vista musulmano. E c’è anche
il burkini, mix tra burka e bikini. Lasciamo perdere… di Meriem Dhouib
L a cosmetica halal, la mecca-cola, il burkini sono prodotti che nascono da bisogni reali o funzionali oppure da esigenze artificiali imposte dalla comunicazione e della strategie di marketing? I prodotti fatti su misura per le comunità musulmane come quelli che si trovano nel reparto di macelleria halal nei supermercati, le bevande analcoliche come la birra zero, oppure l’ultima invenzione dei francesi, lo champagne senza alcol, sono in effetti utili alla comunità praticanti e possono anche essere un referente simbolico.
Ma la regola non vale per tutti i prodotti certificati musulmani corretti. Ad esempio, un cellulare che squilla a suon di urlo del muezzin, oppure una bambola con il velo, sono realmente delle necessità o sono solamente degli oggetti simbolo creati volutamente dal mercato come simboli all’identità arabo-musulmana? Non esiste una riposta generica perché questi prodotti sono molto diffusi e i musulmani li comprano lo stesso pur non avendone bisogno ed è molto difficile stabilire le motivazioni. Alcuni di questi prodotti sono la Barbie con il velo e il burkini.
l’inquietante Razanne
Per qualcuno, a quanto pare, la Barbie non si addice alle bambine musulmane, tanto che l’Arabia Saudita l’ha bandita da circa un decennio. In questo caso, lo scrupolo religioso si è trasformato in business, ed è nata Razanne, una bambola senza seno né fianchi, con un aspetto da bambina, un solo abito, una tunica e il velo. Il fatto più inquietante, in quanto musulmana che ha giocato con la Barbie durante la mia infanzia, è che Razanne non ha avuto successo soltanto in Arabia Saudita ma si è diffusa smisuratamente in tutto il mondo arabo e in Europa.
Un altro prodotto del quale la società occidentale fa fatica ad accettare e a ritenere utile è il burkini, nome che deriva dalla fusione di burka e bikini. La stilista Aheda Zanetti ha spiegato il perché l’ha disegnato: «Abbiamo studiato un sistema per riempire una nicchia di mercato ancora scoperta. Il nuovo costume è molto leggero, aderente e permette alle ragazze musulmane di fare sport in spiaggia giocando ad esempio a beach volley o di nuotare in libertà».
Questi prodotti non godono di pubblicità in televisione, tuttavia, a livello di comunicazione, la promozione non manca. Infatti, si stanno diffondendo siti nel mondo arabo rivolti alle donne islamiche nei quali vengono fornite indicazioni cosmetiche basate sulla sharia, sulla distinzione tra ciò che è halal (“permesso”) e ciò che è haram (“vietato”), sia per la produzione che per l’uso dei prodotti di bellezza.
Dalla comunicazione si è arrivati alla certificazione. Alcune grandi aziende produttrici e i gruppi di distribuzione mondiali che sono interessati al mercato femminile musulmano, infatti, vanno adeguandosi sempre di più a questi standard addirittura con l’introduzione di una figura professionale specifica, il “coordinatore halal”, il cui lavoro è quello di elaborare una sorta di “certificato” di qualità islamica per le consumatrici. Tra questi gruppi vi sono anche Givenchy e Healing Garden.
Non ha bisogno di certificati una delle ultime frontiere del marketing religioso: i Jeans Al Quds (“Gerusalemme” in arabo), i primi jeans pensati per i fedeli di Allah. Vengono prodotti da un’azienda italiana, che risiede a Udine. Sono alti in vita per non lasciare la schiena scoperta, hanno la gamba larga per inginocchiarsi meglio e cuciture in filo verde per ricordare il colore sacro all’Islam.
In un contesto mondiale dove molti Paesi arabi stanno vivendo l’era del consumismo, molti fedeli apprezzano questo tipo di approccio “su misura” che ci rende non soltanto succubi del mercato, ma ci fa credere che questi prodotti siano adatti a noi e ideati per il nostro bene. Io personalmente, come tante ragazze della mia età che hanno giocato con la Barbie in bikini e hanno usato i cosmetici occidentali senza guardare le etichette, da un lato mi ribello contro le strategie del marketing che mi tratta come un oggetto e dall’altro mi indigno nei confronti della nostra rassegnazione davanti al mondo che cambia e progredisce mentre noi ci limitiamo a pensare alla lunghezza delle gonne delle donne e ai prodotti religiosi corretti che vogliono farci usare.
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