Cultura
«Ragazze in viaggio da sole, è nostro diritto non avere un uomo a fianco»
La scrittrice 35enne Darinka Montico - autrice dell'apprezzata opera prima "Walkaboutitalia" - che ha passato gli ultimi 16 anni tra viaggi e lavori in ogni angolo del mondo, manda a Vita.it un incisivo spunto di riflessione partendo dall'assassinio delle due giovani argentine in Ecuador da parte di chi le ospitava per la notte. "Potevano essere anche in dieci ma senza la presenza di un uomo sarebbero sempre state sole? Basta con questo gioco patetico, viaggiare da sole non è una sconfitta, è libertà"
Ho 35 anni e viaggio da sola da quando ne ho 19. Per “Viaggio” non intendo l’escursione della domenica o le due settimane nel villaggio turistico. Intendo vivere e lavorare in ogni continente, spostandosi liberamente da un capo all’altro. Due anni fa, stufa di adattarmi alle situazioni che il mondo mi proponeva –e una miriade di lavori assurdi, come fare la massaggiatrice di teste di giocatori di poker durante i tornei – decisi che era arrivato il momento di prendere in mano le redini della mia vita e dedicarmi esclusivamente a quello che amo fare: viaggiare, scrivere, fotografare e sognare. Come? Creando un progetto che coinvolgesse tutte le mie passioni.
Torno così in Italia con l’idea di farmela tutta a piedi, dalla Sicilia al Piemonte, da dove ero venuta via 16 anni prima, raccontando il mio viaggio sul mio blog (che poi sarebbe diventato un libro di successo, Walkaboutitalia, Edizioni dei cammini 2015, ndr), fotografando e raccogliendo i sogni di chi avrei incontrato sul mio cammino. Avevo finalmente ritrovato i miei desideri e mi piaceva l’idea di solleticare la fantasia di chi avrei avuto il piacere di incontrare collezionando i loro. C’era un unico problema: non avevo un euro. Ma i sogni non hanno prezzo e decisi di partire lo stesso, affidandomi alla provvidenza. In sette mesi di viaggio e 2910 km a piedi sono stata obbligata a dormire sotto alle stelle una sola volta perché c’è sempre stato qualcuno che mi ha offerto un giaciglio e non ho mai sofferto la fame. Ho ricevuto qualche avance, certo – incontrando centinaia di persone al mese può capitare – ma non sono stata vittima di nessuna forma di violenza. Ho conosciuto tantissime anime amorevoli con le quali sono tutt’ora in contatto, ho scoperto l’Italia meravigliosa che i mass media nascondono sistematicamente, ho ritrovato me stessa, mi sono data tante risposte, ma soprattutto ho trovato una moltitudine di nuove domande e ragioni per andare avanti. Sono tornata a casa con il portafogli sempre vuoto ma con una valigia piena di sogni, reduce dell’esperienza più bella che abbia mai vissuto. E tornare a casa soddisfatti e vivi succede a viaggiatori quotidianamente in ogni parte del mondo, mentre essere stuprati e uccisi è una triste eccezione.
“N’altra che non cià n’c***o da fa’!” “E noi dovremmo credere a certe stupidate? Avrà viaggiato molto anche di notte e anche con la fantasia!”. “Sarà dimagrita ?”. “Ma non lavora? Se viaggia senza soldi venderà il suo corpo per campare”. “Se farà la fine di Pippa Bacca è perché se l’è cercata”. Questi sono solo alcuni dei commenti che mi sono ritrovata incredula a leggere sulle varie pagine in cui si parlava della mia curiosa avventura. Certo non ci sono stati solo commenti negativi, ma direi almeno un buon 50 per cento. Ora, che non tutti condividano le mie scelte di vita è assolutamente plausibile, non mi stupisce ne infastidisce. Ma il fatto che non vengano rispettate e sminuite in quanto “diverse” è medievale. Il problema è che certe scelte di vita diventano ancor più controcorrente e provocatorie se fatte da una ragazza, in quanto sovvertono l’immagine mentale della donna che la società ci impone fin da piccoli. E questa immagine mentale non è solo nel cervello maschile, ma anche nel nostro e non è facile disintossicarsi. Tanti dei crudeli commenti a cui ho fatto riferimento sono stati scritti proprio da altre donne.
Nella lettera scritta dalla prospettiva delle vittime – le due ragazze argentine Marina e Luz – che negli ultimi giorni sta facendo il giro del web, Guadalupe Acosta dice: “Se nei titoli ci fosse stato scritto ‘due giovani uomini viaggiatori uccisi’ la reazione sarebbe stata di condoglianze e richiesta di una pena pari alla gravità dell’assassinio”. Probabile, ma nessuno avrebbe mai scritto “due giovani uomini viaggiatori uccisi”. Avrebbero scritto semplicemente “due giovani viaggiatori uccisi”, che siano uomini è sottinteso, nel caso siano donne è necessario specificare. Il problema è proprio questo, viviamo ancora in una società dove se si tratta di donne, neri o gay il sostantivo diventa aggettivo. Calcio, rugby, tennis, qualsiasi tipo di sport è inteso al maschile a meno ché non sia specificato il contrario e quella piccola, apparentemente insignificante, precisazione crea un piedistallo di separazione. Il piedistallo dove l’uomo bianco ed eterosessuale si autoproclama perenne vincitore. Ma forse, invece che accanirci per quel primo posto insignificante, basterebbe iniziare a parlare con un altro gergo. Io non sono una donna che viaggia sola, semplicemente viaggio da sola e soprattutto non viaggio da sola in due. Nel post diventato virale riguardo all’omicidio delle viaggiatrici argentine l’hashtag è #viajosola ma le ragazze uccise erano DUE. Chissà, forse potevano essere anche in dieci, in cento o in mille ma senza la presenza di un uomo sarebbero sempre state sole. Come se una presenza maschile fosse necessaria a validare la nostra esistenza. E se invece fossimo in milioni, non dico a viaggiare “da sole”, ma a dimenticarci le regole di un patetico gioco creato dall’uomo per vincere e troppo spesso perpetuato da noi stesse per giustificare una sconfitta? La sconfitta di ogni donna che ha deciso di partecipare a uno stupido gioco a perdere, pensando: “Ma cosa ci faceva/no in giro da sole/a?”. Smettiamo, di giocare.
Testo raccolto da Daniele Biella
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