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Cooperazione & Relazioni internazionali

RD Congo: silenzio, si uccide!

di Cecile Kyenge

Sono Beni. Je suis Beni. Così ho deciso di iniziare il mio discorso al Parlamento europeo per denunciare i massacri che devastano interi territori nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Era il 23 giugno scorso. L’ho fatto immedesimandomi in una delle tante, troppo donne violentate da miliziani e soldati che da oltre due decenni hanno trasformato il Kivu in un inferno a cielo aperto. Le cifre sono quelle sappiamo: spaventose. Dal 1995, due guerre civili e scontri armati mai del tutto cessati hanno fatto oltre quattro milioni di morti sull’insieme del territorio congolese, ma la maggior delle vittime si contano nell’est del paese.

Purtroppo, con la presenza di una cinquantina di milizie e gruppi ribelli in questa regione martoriata del paese, le violenze sono cessate. Eppure il dispiegamento di oltre 20mila caschi blu in RDC, chiamati ad appoggiare le forze armate congolesi nella lotta contro i miliziani e i ribelli che seminano il terrore tra le popolazioni civili, dovrebbe avere un effetto dissuasivo.

E invece con sempre più frequenza non è così. Ne è la dimostrazione l’attacco perpetrato il 4 maggio a Eringeti, a nord di Beni, in cui sono state massacrate 17 persone a poche centinaia di metri dalla sede della Missione Onu in RDC. Per le organizzazioni di difesa dei diritti umani è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La lettera aperta firmata dalla società civile del Nord Kivu e destinata al Presidente Joseph Kabila è un pugno nello stomaco. Nell’indifferenza generale della Comunità internazionale, la regione di Beni è precipitata in una spirale di violenza che se non arrestata rischia di innescare i focolai di un genocidio e di destabilizzare tutta la regione dei Grandi Laghi.

Dall’ottobre 2014 al mese scorso, sono rimasti uccisi oltre 1160 donne, uomini e bambini, e altri 1500 risultano dispersi. Al di là dei numeri, le immagini e le foto atroci che sono state diffuse sui social media giustificano ampiamente la richiesta avanzata dal Parlamento europeo in una risoluzione adottata il 23 giugno scorso a Bruxelles di avviare il più presto possibile un’inchiesta internazionale indipendente e trasparente sui massacri perpetrati nei territori di Beni, Lubero e Butembo, con la piena collaborazione del governo della RDC e della MONUSCO.

Su iniziativa del Gruppo dei Socialisti e Democratici, è stato altresì chiesto all’Unione Europea di “valutare la possibilità di imporre sanzioni mirate, tra cui il divieto di viaggio e il congelamento dei beni, nei confronti dei responsabili dei massacri nel Congo orientale e della violenta repressione nella RDC, in modo da contribuire a evitare ulteriori violenze”, suggerendo nel contempo al “procuratore della Corte penale internazionale (CPI) di accertare se è opportuna un’indagine della CPI sui presunti crimini nella regione di Beni”.

La comunità internazionale non può lasciare sole milioni di persone che da più di due decenni subiscono con una regolarità spaventosa gli orrori di queste esplosioni di violenza. Oggi nel nord-Kivu si contano più di 1,5 milioni di sfollati, costretti ad abbandonare la proprie terre occupate da milizie che continuano a sfruttare le risorse minerarie e naturali immense di cui il Kivu è dotato.

Non a caso la nostra battaglia a difesa dei popoli di Beni, Lubero e Butembo coincide con un’altra iniziativa che come Gruppo parlamentare S&D stiamo portando avanti ha portato avanti in questi ultimi anni nelle istituzioni europee e che ho avuto modo di condividere il mese scorso con i lettori di questo blog. La lotta senza quartiere portata avanti assieme a tanti eurodeputati contro i minerali insaguinati ci ha permesso di trovare un accordo con la Commissione UE e il Consiglio per rendere obbligatoria la tracciabilità dei minerali importati dalle imprese europee nel Vecchio contintente.

A giusto titolo, il presidente del Gruppo S&D, Gianni Pittella, si è detto orgoglioso di aver contribuito a spezzare la catena che in molte aree del mondo lega le violenze di bande criminali all’estrazione di minerali usati poi per fabbricare i nostri cellulari, tablet o PC”. Queste bande criminali sono le stesse che continuano a martoriare i civili di Beni, Butembo e Lubero. E’ arrivata l’ora di fermarli prima che sia troppo tardi.


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