Diritti e sanità

Rette Rsa e demenze: avanti a suon di sentenze

Continuano i pronunciamenti giuridici, mentre gli interventi legislativi della politica non sono pervenuti. La questione dell'onere delle spese per le strutture sanitarie assistenziali nel caso di ospite con una malattia neurodegenerativa si risolve a suon di sentenze. In pochi giorni, in Lombardia ce ne sono state due. A farne le spese sono un po' tutti

di Nicla Panciera

I cittadini di tasca propria o lo Stato? Su chi debba pagare la retta di ricovero della residenza sanitaria assistenziale Rsa nel caso l’ospite abbia una diagnosi di demenza continua il dibattito giuridico, mentre è in stallo quello politico dopo il discusso emendamento presentato a marzo dall’onorevole Maria Cristina Cantù, Lega, già assessore della Regione Lombardia, che intendeva distinguere prestazioni sanitarie da quelle socio-assistenziali come l’igiene personale, la vestizione, la nutrizione e la mobilizzazione, stabilendo che fossero a carico del fondo sanitario nazionale solo le prime.

In pochi giorni, due pronunciamenti.

Venerdì 11 luglio la Corte d’Appello di Milano, ribaltando la decisione presa in primo grado dal Tribunale di Milano, ha annullato una sentenza che obbligava un cittadino lombardo assistito dall’avvocato Giovanni Franchi, che fornisce assistenza nel recupero delle rette di ricovero anziani e malati di Alzheimer, al pagamento della retta di ricovero presso una struttura sociosanitaria per la madre malata di demenza senile. Le motivazioni risiedono nel fatto che le prestazioni a lei erogate erano di natura sanitaria data la sua gravità clinica, confermata anche dalle certificazioni mediche dell’istanza di nomina di un amministratore di sostegno. E la gratuità delle prestazioni ricorre per le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale e per quelle a carattere socio sanitario ad elevata integrazione sanitaria. Confermata quindi la linea giurisprudenziale espressa dalla Suprema Corte di Cassazione che aveva stabilito che, quando in una struttura socio-assistenziale sono necessarie prestazione sanitarie collegate alla patologia, è l’azienda sanitaria che deve farsi carico della retta della Rsa. A seguito della pronuncia, la questione è diventata un vero caso nazionale e continuano a fioccare i ricorsi su chi spetti l’onere economico. I contenziosi legali pesano sulle famiglie e la situazione di incertezza ricade sul benessere dei ricoverati.

La questione centrale è se la presenza di una diagnosi di Alzheimer sia tout court ragione di gratuità della retta, con l’integrale copertura del costo del ricovero da parte del servizio sanitario nazionale. La settimana precedente la decisione della Corte d’Appello di Milano, in una sentenza del 2 luglio scorso, in una causa patrocinata dallo Studio Degani, il Tribunale di Monza ha escluso una diretta correlazione tra sindrome di Alzheimer e la gratuità del costo di ricovero in Rsa. «La persona non rispondeva ai criteri di gravità che, secondo la Corte, avrebbero dato l’onere della spesa allo Stato» spiega Luca Degani, titolare dello studio e presidente dell’Unione nazionale enti di beneficenza e assistenza Uneba Lombardia, che gestisce le Rsa per anziani e rappresenta centinaia di strutture per anziani fragili in tutta Italia. «Sulla base del caso concreto, il Giudice di Monza ha escluso “la prevalenza delle prestazioni sanitarie su quelle assistenziali ritenendo legittimo il sistema di compartecipazione nella spesa”» continua Degani che si è sempre detto contrario alla gratuità assoluta delle strutture per i privati, facendo appello alla sostenibilità del Sistema sanitario nazionale. «Infatti, è semplicemente impensabile lo stato si faccia carico indistintamente di tutte le persone con demenza nelle Rsa» ripete. «Si punti piuttosto a finanziare interventi di prevenzioni per cercare di arginare questa drammatica situazione». Quanto alla sentenza di Monza, «dice due cose: da un lato, che la persona anziana non era portatrice di bisogni ad alta intensità sanitaria e, dall’altro, che una Rsa non è struttura adeguata in caso di bisogni ad alta intensità. Sarebbe auspicabile un intervento normativo da parte della politica o un’interpretazione uniforme da parte della Corte di Cassazione, quindi a Sezioni unite, data anche l’importanza del tema anche per l’economia dello Stato».

Federazione Alzheimer Italia insiste sulla necessità di un intervento del legislatore che tenga conto anche della specificità delle malattie neurodegenerative, che progrediscono nel tempo e partendo magari da una iniziale lieve compromissione cognitiva in tempi più o meno rapidi portano a serie incapacità che richiedono prestazioni sanitarie. «Sicuramente, si deve valutare caso per caso» spiega Marina Presti, avvocatessa e presidentessa di Alzheimer Milano Odv e consulente di Federazione Alzheimer. «Con una certa amarezza, constatiamo che queste difficoltà sono rimaste sul tavolo non affrontate da almeno un paio di decenni. I nodi stanno venendo al pettine ora. La questione richiederebbe una certa lungimiranza d’intervento, anche alla luce dell’aumento della prevalenza spinto dall’invecchiamento della popolazione. L’attuale ambiguità da adito all’incertezza che finisce per ritorcersi contro il malato stesso».

Foto di Annabel Podevyn su Unsplash

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