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Economia & Impresa sociale 

Riduciamo prima la “mental tax” della povertà, e poi l’IMU/TASI

di Marcello Esposito

Alcuni neurobiologi hanno definito la povertà una sorta di “mental tax”. E’ stato provato che lo sviluppo cognitivo di un bambino è influenzato in maniera determinante dai primissimi anni di vita. Gli stimoli che i genitori possono offrire ai bambini, la risposta ad ogni loro sollecitazione, la serenità della mamma e del contesto familiare sono la chiave per lo sviluppo completo e armonico delle funzioni cognitive. Condizioni di grave deprivazione materiale rappresentano un elemento oggettivo di difficoltà. Anche solo il pensiero di come fare ogni santo giorno a mettere nel piatto qualcosa da mangiare può ridurre l’attenzione e il tempo che i genitori riescono a dedicare alle esigenze cognitive dei più piccoli. Per non parlare della maggiore probabilità di stati depressivi o di tensioni familiari indotte da gravi difficoltà economiche. Uno studio scientifico, ripreso questo weekend in un articolo apparso sul Washington Post, ha provato le conseguenze neurobiologiche della “mental tax”. Ma qualunque persona di buon senso arriva a comprendere che un aiuto economico, dedicato alle famiglie più povere e con bambini piccoli, ne migliora l’equilibrio, la resa scolastica e in ultima istanza la probabilità di abbandonare da adulto la condizione sociale dei genitori. Visto che è tempo di Legge di Stabilità e che il Governo Renzi vuole ridurre le tasse, perché non partire quindi dalla “mental tax” al posto di azzerare l’IMU/TASI sulla prima casa? Si parla tanto di uguaglianza delle condizioni di partenza. La lotta alla povertà dei bambini dovrebbe essere il punto cardinale rispetto al quale orientare la politica economica e sociale di qualunque governo, a maggior ragione se di centro-sinistra. Le risorse per ridurre la “mental tax” ci sono. Stando a Save The Children, 1 milione di bambini e adolescenti in Italia vivono in condizioni di povertà assoluta. Un contributo di 500 euro al mese per ciascun bambino o adolescente in tale condizione costerebbe 6 miliardi di euro all’anno. Non bisogna essere dei ragionieri per capire che le risorse si possono trovare facilmente tarando bene il sussidio, magari rendendolo decrescente con l’età, e integrandolo con le altre forme di supporto. Forse, bastano già i 3,5 miliardi dell’IMU/TASI. Ma, se questi non fossero sufficienti, si può mettere mano agli “80 euro” (che cubano per 10 mld di euro), di modo che per determinare chi ne ha diritto e chi no si consideri il reddito familiare complessivo e non quello del singolo percettore. Come abbiamo scritto relativamente alla proposta “Children Union”, al posto di investire in autostrade che magari nessuno poi percorrerà, il governo nella Legge di Stabilità faccia l’unico investimento che pagherà sempre: quello sui bambini e sul capitale umano del futuro.

PS E se vogliamo fare un discorso da economisti, un sussidio ben studiato per alleviare le condizioni di povertà dei bambini e delle loro famiglie è molto più efficace, in termini di stimolo alla domanda aggregata, di una riduzione delle tasse sulle proprietà immobiliari. Queste ultime, infatti, beneficiano la fascia più benestante della popolazione, caratterizzata presumibilmente da una propensione al consumo inferiore a quella delle famiglie povere. Inoltre, le famiglie con bambini e adolescenti (anche quelle benestanti) hanno una propensione al consumo maggiore della media. Se poi il sussidio fosse vincolato alla spesa in vestiario per bambini, medicinali, cibo, istruzione è probabile che il grosso verrebbe speso in beni e servizi prodotti internamente e non importati. Aumentando quindi il “moltiplicatore della domanda” di keynesiana memoria.


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