Dare un nome ai bambini rimasti soli. Ricoverarli, curarli, proteggerli: è la missione di Unicef, presente nell’isola di Hispaniola dal 1949 con uffici nella Repubblica Domenicana e ad Haiti. Nella sede di Port-au-Prince lavoravano 50 persone (40 delle quali haitiane, due gli italiani: Guido Cornale e Matteo Perrone). Il terremoto ha provocato al personale solo ferite lievi e ha solo danneggiato le strutture, che non sono però crollate. «Sono tre gli interventi per i prossimi mesi», spiega Roberto Salvan, direttore di Unicef Italia. «Da una parte porteremo i bambini in aree protette e attiveremo azioni di ricongiungimento. Distribuiremo le loro fotografie nelle diverse zone dell’isola in modo da favorire il contatto con i parenti. Non crediamo sia opportuno, in questo momento, parlare di adozioni o di affidi. Com’è possibile pensare a forme di adozione quando non si è certi che un bimbo è rimasto solo?». Unicef è però anche, all’interno del coordinamento dell’Onu, responsabile per acqua e igiene. «Stiamo già distribuendo pasticche al cloro per rendere potabile l’acqua. Abbiamo 11 distributori da 10mila litri e 15 da 5mila litri in diverse zone colpite. Lavoreremo anche per ricostruire le strutture igienico-sanitarie: l’assenza di latrine, ad esempio, può favorire la diffusione di infezioni».
Vi è poi l’impegno alimentare: Unicef sta già distribuendo razioni iperproteiche per la prima infanzia. «Continueremo anche i progetti precedenti il terremoto: iniziative educative, contro la diffusione dell’Aids e attività preventive nei confronti delle inondazioni. Negli ultimi anni, come comitato italiano, abbiamo mandato ad Haiti 3-400mila euro l’anno perché fossero immagazzinate razioni alimentari per far fronte alle inondazioni».
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