Non profit
Safaricom, il cellulareche fa sognare il Kenya
quotazioni Il più grande gestore del Paese va in borsa, ed è boom
di Redazione
Tassisti, artigiani, camerieri, agricoltori, venditori ambulanti, molti dei quali senza poter permettersi neanche un conto in una banca. La quotazione alla Borsa di Nairobi di Safaricom, il principale operatore di telefonia del Kenya, ha avuto tanti protagonisti inaspettati, e forse improvvisati. Ma se già lo scorso anno era considerata un investimento sicuro, negli ultimi mesi, che hanno lasciato in eredità 1.500 vittime e oltre 600mila sfollati, aveva assunto i contorni di una lotteria multimilionaria piovuta dal cielo, alla quale nessuno avrebbe perso.
Sì, perché il 9 giugno è stata una data che verrà ricordata nella storia del Paese africano: con oltre 10,5 milioni di clienti (un keniano su tre), una copertura del 70% degli abitanti e del 30% del territorio, con una quota di mercato dell’85%, e utili per 225 milioni di dollari, Safaricom è diventata prepotentemente un’icona del Paese.
Questo patrimonio ha consentito il giorno dopo allo Stato, passato dal 60 al 35% della società avendo ceduto il 25% sul mercato, di garantire ai sottoscrittori un guadagno del 47% rispetto al prezzo iniziale. Risultato atteso, grazie a un’offerta superiore di almeno quattro volte alla domanda, e che ha portato la capitalizzazione del colosso a più di tre miliardi di dollari. Safaricom nasce nel 1997, come semplice divisione di KP&TC, le poste e telecomunicazioni keniote.
Non manca il giallo: Vodafone Kenya è controllata all’87,5% dal gruppo Vodafone. E il restante 12,5%? Appartiene a Mobiteleia Ventures, una misteriosa società registrata alle Isole Guernsey, fazzoletto di terra nel Canale della Manica, facilmente rinvenibile nelle liste dei paradisi fiscali. Ma detenere il 12,5% di Vodafone Kenya vuol dire detenere indirettamente il 5% di Safaricom: alle Guernsey, dunque, sono volati lo scorso anno oltre 11 milioni di dollari di profitti. «Spero che non respinga potenziali investitori dallo scommettere in una società solida con forti prospettive di crescita», ha detto recentemente l’amministratore delegato di Safaricom, il sudafricano Michael Joseph.
Qualcuno aveva sospettato che il 5% fantasma potesse essere riconducibile proprio a lui, già uomo Vodafone in Ungheria. Un sospetto che aveva spinto il Movimento democratico arancione di Raila Odinga, sfidante del presidente Mwai Kibaki alle ultime elezioni, a chiedere lo stop alla quotazione e una maggiore trasparenza per una società a controllo statale.
Lo stop effettivamente c’è stato: l’apertura al mercato di Safaricom, fissata in concomitanza con la consultazione elettorale di dicembre, è arrivata dopo che Kofi Annan ha risolto il puzzle politico e il conseguente conflitto civile. A quel punto la quotazione del gigante africano ha aiutato il processo di pacificazione nazionale. Safaricom, infatti, è per il Kenya qualcosa in più di una compagnia di telecomunicazioni.
Il gestore keniano ha ampi margini di sviluppo, che hanno spinto oltre 1,25 miliardi di dollari dal resto del mondo a partecipare alla scommessa del listino. Anche se l’affare più grosso lo ha già fatto Vodafone, ritrovatasi primo azionista della società, con un’importante rivalutazione della quota. «Abbiamo fatto più noi per l’Africa che tanto aiuto allo sviluppo», è la provocatoria affermazione di Joseph. Con il rallentamento della crescita per le conseguenze delle violenze, il Kenya ha bisogno di un catalizzatore. Potrebbe esserlo proprio Safaricom.
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