Volontariato

Salute e diritti umani: da Lugano ad Assisi in cerca di umanità

di Elisabetta Ponzone

Senza rendersene conto, nella malattia, la mamma aveva creato un movimento “No Pills. Please Doctors!” No medicine, ma dottori! O meglio, persone capaci, esseri umani con la voglia di capire, guardare, ascoltare. Persone che vogliono e sanno stare accanto al malato. Magari anche senza una cura miracolosa, ma con umanità, empatia. Umiltà e rispetto.

Un sorriso migliora la vita più di una terapia. Lorenzo frequenta medicina. E’ in carcere da sette anni e ne deve fare ancora troppi. Intanto studia. «La mia compagna è morta di cancro quando io ero ancora fuori. Standole accanto ho capito che sono davvero pochi i medici disposti a instaurare  un rapporto umano con il paziente.” Parole forti. «E’ sempre stato difficile trovare dei medici che avessero voglia di andare oltre il protocollo. Tutti bravi, finché il paziente non ha problemi seri o finché segue quasi a bacchetta le indicazioni dei medici! ». Ma cosa succede se la persona esce dagli schemi? E soprattutto, la nostra società è pronta ad accoglierla?

Yasmine sta scontando una pena per furto e ha dovuto portare in cella con sé i suoi due figli più piccoli, Lolita e Diego, trasformandoli in piccoli detenuti, allevati da una strana comunità senza gite, né parchi, né visite agli amici. E’ questa la trama di Ninna Nanna Prigioniera, la delicata e toccante pellicola di Rossella Schillaci sulle madri che vivono con i loro bambini nelle carceri italiane e che verrà presentata in prima internazionale domani, domenica 9 ottobre alla terza edizione del Film Festival dei Diritti Umani di Lugano.

Una realtà che impone una riflessione. Ogni volta che entro in carcere passo davanti all’area verde dove i bimbi fanno i bimbi giocando sulle altalene e le mogli cercano di tenere insieme la famiglia, anche se insolita e fuori dagli schemi. Dall’altra parte dell’area verde, prima di entrare nel nostro laboratorio di sartoria @Borseggi, un muro divide i pazienti detenuti e malati. Imprigionati e ospedalizzati. Persone oltre i soliti schemi, ma sempre persone.

La salute in carcere e i diritti umani sono le radici che stabiliscono il livello di una società. Io lo credo. Gli standard più elevati richiesti nell’ambito della protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nelle società moderne comportano, corrispondentemente e inevitabilmente, una maggior fermezza nel valutare le violazioni dei valori essenziali nelle società democratiche, anche nei confronti dei detenuti.

Il “nostro” Gabriele, che lavora fuori dal carcere con noi in cooperativa e ogni notte torna dentro ricorda un giorno in carcere dal medico: «Dottore buongiorno, ho un forte mal di schiena, come lei sa ho due ernie e mi sono accorto di aver perso molto la vista. Cosa possiamo fare? “Gabriele – gli risponde il dottore – le ernie se le deve tenere, visto che qui in carcere abbiamo gente che non si muove dal letto. Per  quanto riguarda la vista, già è troppo quello che vede rispetto a quello che ha fatto. Comunque, le do un paio di bustine di Dicloreum e siamo a posto così!”»

Nel preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, 1948, si legge che « … il riconoscimento della dignità specifica e dei diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della società umana è la base di libertà, giustizia e pace nel Mondo». Domani, domenica 9 ottobre 2016, la marcia della pace di Assisi lo ricorda. Ma noi, lo desideriamo davvero?

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