Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Media, Arte, Cultura

Salvati da una poesia

Erano allo sbando, schiavi della droga e malati di Aids. Oggi sono rinati e sono diventati un luogo di speranza per tanti altri. Sono i “Ragazzi della panchina”: si raccontano in un libro.

di Francesco Di Nepi

C ome combattere la droga e l?Aids puntandogli contro una feroce identità di gruppo. Con il prezioso aiuto della poesia e della prevenzione. È quello che si ritrova nelle pagine de ?Nei giardini che nessuno sa?, testo che, narrando la nascita e l?evoluzione di un gruppo di autoaiuto di Pordenone, mantiene un occhio attento anche all?iter formativo adottato dal Centro italiano di solidarietà di Don Picchi e a un progetto di Cologno Monzese. Dove ci sono addirittura enti locali e Asl che in ambiti diversi intervengono a sostegno della crescita adolescenziale. Ma la parte del libro che balza subito agli occhi, è quella riguardante l?impresa di un gruppo di quaranta giovani chiamati ?Ragazzi della Panchina? (nome assunto dal loro punto di incontro a viale Montereale, nei pressi dell?ospedale di Pordenone) che sono riusciti a passare dal buio del tunnel a una vita di stimoli e comunicazione con gli altri. Con la voglia di raccontare la propria esperienza e di cercare di farla conoscere agli altri. Tutto nasce 5 anni fa, quando una ragazza malata di Aids, Dina, oggi scomparsa, parlando con i suoi amici (tutti tossicodipendenti o sieropositivi) rivela la sua idea di rivolgersi alla poesia per capire meglio la sua situazione e ritrovare la dignità perduta. La sua, quella dei suoi compagni e da una città che, negli ultimi 10 anni ha visto morire 150 ragazzi di Aids. L?idea riscuote consensi e il fato ci si mette di mezzo: questi giovani scoprono di essere vicini di casa di un poeta, Andrea Zanzotto, che viene così invitato a Pordenone per leggere poesie e parlare con loro del tema della morte. Quel giorno fu ?il giorno?, per il gruppo della panchina: perché, dopo aver passato qualche ora in compagnia di Zanzotto e della sua poesia, questi ragazzi si sono dati nuove regole. Di comportamento, di partecipazione alla vita di una città che ora cercano di difendere dall?eroina. «Già, perche le nostre vite», racconta Gigi Dal Bon, uno dei leader del gruppo, «che erano quelle di un gruppo dì tossici, malati e senza speranza, si erano ormai spente. Poi, davanti alla morte di amici, al carcere e alla distruzione di intere famiglie, abbiamo capito che era il momento di cambiare. E così, anche grazie alla poesia, abbiamo cominciato a parlare fra noi in modo diverso, lontano dalle ipocrisie del mondo della droga e della società». E in questo modo, vedendo che le paure e la solitudine di ognuno erano quelle di tutti, con l?andare del tempo i ?Ragazzi della panchina? hanno ritrovato la loro dignità e la fiducia in loro stessi. E cosi, dopo che il libro è stato distribuito in oltre 4000 istituti superiori d?Italia, fra poco i ?Ragazzi della Panchina? avranno una sede a Pordenone. Un posto voluto e ottenuto anche grazie all?impegno della ministra della Solidarietà Livia Turco, che incontrò questi ragazzi durante una sua visita a Pordenone nel novembre del ?96. «Quella sera non la dimenticherò mai», ha spiegato la ministra nel corso della presentazione del libro. «Ricordo che durante il ritorno, sul treno, ho pensato molto a quello che era successo. Perché è difficile conoscere l?esperienza della droga narrata in modo duro e senza peli sulla lingua da ragazzi che già allora mi colpirono per il loro impegno a ricostruire la propria vita». Non solo poesia, dunque, alla base della rinascita dei ragazzi della panchina: «No, non solo», spiega Alessandro Zarnai, medico del Servizio pubblico per le tossicodipendenze, punto di riferimento del gruppo. «In questo miracolo ci sono anche delle novità nella strategia con cui un gruppo di ragazzi abbandonati al loro destino di tossicodipendenza e di Aids, ha trovato motivazioni, forza ed energia per intraprendere un percorso che prevede due ?fermate? principali. Quella di riconoscere la dignità della morte e quella di trovare una speranza nella vita. Perché sono sempre stato convinto che i tossicodipendenti non siano dei contenitori da svuotare e da riempire di concetti nuovi. Ma delle persone che devono anche essere aiutate a valorizzare ciò che hanno». Ci siamo capiti subito L?incontro con i ?Ragazzi della panchina? è stata per me un? esperienza veramente particolare. Perché se è vero che già altre volte avevo avuto occasione di intrattenermi con giovani in condizioni abbastanza analoghe, non ero affatto certo di riuscire a trovare un approccio adatto per entrare in comunicazione. E mi confortò in modo particolare il loro intrepido desiderio di incontrare quella poesia incentrata sul tema della morte. Cercando di affrontrarla attraverso la lettura e il dialogo sui mie componimenti. Loro, i ?ragazzi della panchina?, fin dal primo nostro incontro mostrarono di aver capito tutto e di avere in loro stessi tutte le premesse per ricostruire un senso e una dignità alla propria vita. Manifestando anche uno schietto impulso al conversare, al ricevere e all?offrire. Ho saputo poi, con grande gioia, che questa loro propensione positiva si era consolidata nei mesi successivi portando alcuni ragazzi a cambiare atteggiamento verso la vita. E ho capito, allora, che era scattato in loro qualcosa che per certi versi è davvero inspiegabile.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA