«Abbiamo avuto il muro di Berlino, i muri della Palestina e adesso ci mancava pure quello di Rio de Janeiro». Sono le parole dello scrittore José Saramago, portoghese di nascita ma brasiliano nel cuore, contenute nel suo blog. «Mentre qui si costruisce il muro, il crimine organizzato si ramifica ovunque e complicità verticali e orizzontali penetrano nelle istituzioni e nella società. La corruzione sembra imbattibile. Che fare?». La denuncia di Saramago sta facendo proseliti. Per Itamar Silva, a capo dell’Istituto brasiliano di analisi sociali ed economiche, «il muro separa, crea ghetti». Lo stesso tema del ghetto è ripreso anche dal sindaco di Rio de Janeiro, Cesar Maia secondo il quale «sarebbe meglio una divisione fatta esclusivamente di vegetazione in modo da non far sentire le persone in prigione». Drastici invece gli ambientalisti. David Zee, professore della Uerj, l’università di Stato di Rio de Janeiro, nonché presidente del consultivo della ong Difensori della terra, dice che «questo muro è un’offesa all’intelligenza e un monumento all’incompetenza del potere pubblico. Non serve a niente, né alle persone né all’ambiente, anzi aggredisce il paesaggio locale e paradossalmente può arrivare a fungere da trincea da cui sparare».
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