Non profit
Se il Nord scarica la crisi sull’Africa
Il nodo: gli investimenti infrastrutturali. Come l'asse stradale Nigeria-Camerun o i progetti energetici nei Grandi Laghi. I donatori esteri manterranno le promesse?
di Redazione
Tra i molteplici settori in cui l’Afdb, la Banca africana di sviluppo, è chiamata a intervenire, le infrastrutture oggi costituiscono l’area più importante. Circa il 60% delle risorse della Banca sono dedicate ai finanziamenti infrastrutturali. Negli ultimi tre anni, circa 7,5 miliardi di dollari sono stati investiti nell’energia e nei trasporti. La Banca ha recentemente approvato alcuni progetti chiave come l’asse stradale Nigeria-Camerun che verrà incluso nell’autostrada TransAfrica, l’interconnessione energetica di cinque Paesi dell’Africa dei Grandi Laghi o il progetto energetico Ain Soukhna in Egitto (450 milioni di dollari).
La crisi economica mondiale che si è abbattuta negli ultimi sei mesi rischia però di avere impatti notevoli sui finanziamenti programmati. I rischi sono dovuti al crollo delle risorse pubbliche dei Paesi africani, al calo degli investimenti del settore privato e al possibile declino degli Aps, gli Aiuti pubblici allo sviluppo.
Prima della crisi, l’Africa ha saputo sfruttare un boom economico senza precedenti negli ultimi vent’anni. Oltre a un tasso di crescita pari al 5% tra la fine degli anni 90 e il 2008, il continente ha raggiunto nel 2007 livelli mai visti sui fronti degli Aps (104 miliardi di dollari), dei flussi di capitali (53 miliardi) e delle rimesse dei migranti (20 miliardi). Purtroppo, la crisi costringerà i governi africani a smorzare i loro sogni di gloria. Da un tasso medio del 6% nel 2008, la crescita dovrebbe scendere sotto il 3% nel 2009, il più basso dal 2002. Tra le conseguenze più nefaste, si calcola che i benefici ricavati dalle esportazioni caleranno di 250 miliardi di dollari.
Secondo l’Africa Infrastructure Country Diagnostic Study, le risorse necessarie per le infrastrutture ammontano a 80 miliardi di dollari, divisi tra investimenti e manutenzione. La stessa ricerca dimostra che lo sviluppo delle infrastrutture consentirebbe all’Africa di accrescere il suo Pil del 2% e la produttività del business di oltre 40 punti percentuali. Fino ad oggi, i donatori non hanno inteso distogliere la loro attenzione dal settore infrastutturale, in particolar modo dall’Infrastructure Consortium for Africa, un consorzio istituito nel 2005 in seguito al G8 di Gleneagles. Gli impegni presi nei confronti dell’Ica hanno raggiunto i 12,4 miliardi di dollari, tra cui 2 miliardi provenienti dalla Banca africana di sviluppo.
Prima della crisi, il ruolo del settore privato stava crescendo, in particolar nei Paesi a reddito intermedio, nel campo dell’Information Tecnology, ma anche tra i Paesi più poveri. Anche lì, purtroppo, si sta verificando il ritiro di un attore essenziale per la crescita infrastrutturale del continente.
Dopo questa lista funesta di cattive notizie, si impone una domanda: in un contesto dove il credito si restringe, quali sono le vie percorribili per raccogliere nuovi fondi? Una delle prime risposte che l’Afdb ha dato alla crisi è stata la creazione dell’Emergency Liquidity Facility, un fondo straordinario di liquidità dotato di 1,5 miliardi di dollari per fornire un’assistenza rapida ai beneficiari. La seconda risposta è stata quella di continuare a sostenere i progetti in corso. La crisi economica che si è abbattuta negli ultimi mesi impone all’Africa nuove sfide. Un numero consistente di africani vive lontano dalle coste, la maggior parte in 15 Paesi senza sbocchi marittimi. Circa il 50% di loro non ha ancora accesso all’acqua potabile e il 70% è privo di elettricità. Per rispondere a tali bisogni, i governi africani devono dedicare almeno il 10% del proprio Pil alle infrastrutture.
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