Anche l’etica entra in busta paga. Nell’era dei super stipendi dei manager, finiti sotto la lente d’ingrandimento dell’Unione Europea, e delle mega buone uscite per amministratori delegati e presidenti, che negli Usa hanno scatenato le proteste delle vittime subprime (sempre e solo i consumatori), qualcuno prova a cambiare le carte in tavola. Con pragmatismo, fuori dalle logiche pauperistiche, seguendo il tracciato della responsabilità sociale d’impresa.
Mentre la scure di Tremonti minaccia di abbattersi violentemente sulle stock options italiane dei dirigenti, con l’imposizione di una severa stretta fiscale, nel tentativo di scoraggiare certi abusi diventati quasi di prassi, alcune società italiane fanno un passo in avanti. E inseriscono nei programmi delle stock options criteri sociali e ambientali. Obiettivi da centrare per vedere lievitare il proprio reddito. In caso contrario, crolla il profitto da mettersi in tasca.
Csr a tutto gas
Pioniere nel campo è Sabaf, uno dei principali produttori mondiali di componenti per apparecchi domestici per la cottura a gas con una forte impronta di Csr nel proprio business, che ha lanciato nel 2007 una strategia per rendere “etiche” le stock options. Il piano di incentivazione infatti prevede l’assegnazione ad alcuni amministratori e dipendenti della società di diritti di opzione per la sottoscrizione di 600mila azioni ordinarie di nuova emissione di Sabaf. ll numero di opzioni esercitabili sarà ridotto del 10% nel caso in cui, al 31 dicembre 2009, non siano raggiunti i target di carattere ambientale. Tre i principali bersagli: riduzione della quantità di rifiuti non pericolosi destinati allo smaltimento, non superiore ai 100 grammi per singolo coperchio per bruciatore, e ai 18,8 grammi per singola coppa di rifiuti pericolosi. Fin qui il pollice verde, poi si passa al sociale. Indipendentemente dal raggiungimento o meno delle condizioni di performance di carattere ambientale, il numero di opzioni esercitabili da ciascun beneficiario sarà ridotto del 10% nel caso in cui, al 31 dicembre 2009, il numero di dipendenti della società operanti in Italia con contratto a tempo indeterminato sia inferiore a 460 unità. Insomma, il tagliare i costi diminuendo i dipendenti, per trarre maggiori profitti, viene così espulso dalle logiche di Sabaf. Gianluca Beschi (nella foto), investor relator della società, spiega: «Ad oggi non siamo riusciti a raggiungere gli obiettivi economici, ma quelli sociali e ambientali sono stati centrati in pieno. Un risultato che ci contraddistingue tra le società quotate proseguendo il cammino verso una vera responsabilità sociale d’impresa». Il gruppo bresciano, dopo un difficile 2007 con il titolo depresso ai minimi storici con una discesa delle quotazioni fino al 28%, ha chiuso il primo trimestre 2008 in acque turbolente, con una redditività compressa dal rincaro delle materie prime. La congiuntura negativa e le performance non eccellenti, tuttavia, non cambieranno l’approccio di Sabaf nella sostenibilità del proprio business.
Un esempio, quello dell’azienda bresciana, che potrebbe presto essere seguito da altri. È il caso di Indesit che – sollecitata dall’azionista Etica Sgr – sta studiando soluzioni di questo genere.
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