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Senso religioso e non religione. Ecco l’ora per tutti

Una proposta autorevole

di Paolo Branca

Inutile continuare a concepirsi chiusi ciascuno nella propria riserva. Prima di essere superati dai fatti, dobbiamo avere
il coraggio di ripensare questo insegnamento Il secondo comma dell’articolo 9 del Concordato tra Stato italiano e Chiesa cattolica (rivisto nell’84) stabilisce che «la Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento».
Pur non essendo religione ufficiale dello Stato, il cattolicesimo gode quindi di uno speciale trattamento all’interno della scuola pubblica, per ragioni storiche e culturali comprensibili e condivisibili fin quando il nostro Paese è stato sostanzialmente omogeneo in fatto di confessioni religiose. Ora che il panorama delle fedi presenti sul territorio nazionale si sta pluralizzando, si pone inevitabilmente il problema di armonizzare le norme con una nuova realtà, di per sé portatrice di elementi potenzialmente destabilizzanti rispetto allo status quo, ma non priva anche di salutari provocazioni.
Ormai le conoscenze di carattere religioso mostrano preoccupanti lacune: già ben prima dell’arrivo degli immigrati e delle loro religioni più o meno esotiche, esisteva il problema dell’adeguatezza di una formazione religiosa considerata la Cenerentola tra le materie di studio, con voto che non fa media e che addirittura è divenuta opzionale, proprio per il suo carattere confessionale. Riconoscere spazi di educazione religiosa anche ad altre comunità nella scuola pubblica sarà solo questione di tempo, ma appunto finché si è in tempo sarebbe il caso di porsi almeno qualche domanda:
1. È davvero auspicabile che gli studenti si dividano in base alla fede di appartenenza nell’ora di religione?
2. Non si riprodurrebbe qui, paradossalmente, lo stesso sistema che in Medio Oriente tiene separati in base all’appartenenza religiosa i giovani che, invece, affrontando insieme dal punto di vista culturale tematiche religiose imparerebbero almeno a conoscersi e a rispettarsi?
3. Chi sarebbero e quale formazione riceverebbero, ad esempio, i docenti di religione islamica destinati a insegnare nelle scuole pubbliche?
4. Visti gli scarsi risultati dell’insegnamento della religione come oggi concepito e praticato, ripensarlo come materia obbligatoria e basata su solidi fondamenti storico-critici condivisi da specialisti adeguatamente preparati, non potrebbe offrire a tutti qualcosa di più e di meglio?
Certamente si sta parlando del futuro: comunità che non hanno ancora adeguati luoghi di preghiera forse non aspirano neppure all’insegnamento della loro religione nelle scuole pubbliche, e magari preferiscono continuare a impartirlo a modo loro, con metodi e contenuti tradizionali. Il che è del tutto comprensibile: famiglie e comunità sono non solo necessarie, ma addirittura indispensabili nella maturazione di un’autentica esperienza religiosa.
La scuola non dovrebbe supplire a ciò che altri non fanno più o fanno dalla loro particolare prospettiva. Il senso religioso fa parte delle dimensioni proprie dell’essere umano e delle sue espressioni esistenziali, culturali, artistiche? qualcosa che andrebbe conosciuto seriamente, magari per rifiutarlo, ma con cognizione di causa, non rinchiuso in riserve indiane. L’adeguamento alla realtà è un altro nome dell’intelligenza e Dio, prima dei testi rivelati, ci ha dato la testa e ci ha collocati in un contesto: tre elementi da considerare sempre insieme, altrimenti – invece che progredire – finiremmo per rischiare di tornare indietro.


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