Cultura
Sergio Segio:non sentirti costretto dalla conservazione
In punta di piedi vorrei dire al nuovo Pontefice di sentirsi un uomo della transizione. E che possa ripetere ancora una volta parole come pace, indulgenza. E cambiamento
di Redazione
Un uomo, o meglio un «semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore», si è definito nelle prime parole pubbliche dopo la nomina Papa Benedetto XVI, un Papa decisamente incline alla tradizione. Pure credo che anche l?ortodossia non possa fare a meno di misurarsi con i problemi del proprio tempo e con i lasciti del XX secolo, su cui ha potentemente influito Karol Wojtyla.
Un secolo che è alle spalle. Col suo carico di speranze deluse e di progressi inimmaginabili, di valori inalienabili ma anche di ideologie e pratiche violente, condensate in una terribile cifra: 150 milioni di vittime di guerre e conflitti.
Il nuovo Pontefice potrebbe guardare oltre, ma per uscire dal Novecento manca ancora un radicale cambiamento di rotta e di culture, che sappia davvero mettere al centro l?uomo. L?uomo con tutte le sue debolezze, errori, fatiche. Così che si possa, ad esempio, rendere meno ultimativo anche qualche precetto, se la sua integrale e immediata cogenza, come nel caso dell?Aids e della prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, obiettivamente si traduce nella resa impotente di fronte a milioni di vittime della malattia.
Anche un Papa tedesco magari può sentirsi un po? africano, nel senso di porre il cuore e le opere in costante e prioritario ascolto del silenzioso e antico grido di dolore che segna quel continente malato e insanguinato.
L?Africa è terra ferita nel profondo dalle guerre, schiacciata dal tallone di ferro occidentale, con la sua patologica ricerca del profitto che costituisce il cardine della globalizzazione. È stremata dal flagello dell?Aids: nelle regioni subsahariane, dove ci sono più di 25 milioni di malati e ne muoiono quasi 3 milioni l?anno (due milioni e 300mila nel solo 2004), solo l?1% ha accesso ai farmaci, a causa dei brevetti ventennali apposti dalle multinazionali farmaceutiche, che impediscono la produzione di medicinali che porterebbero il costo annuale della cura a 350 dollari anziché a 10mila.
Al nuovo Pontefice vorrei dire, sia pur in punta di piedi, che lo sentirei tanto più vicino se decidesse di spendersi senza esitazioni perché pace e giustizia, e vita e speranza, siano rese agli uomini, ai tanti Sud del mondo e ai Sud delle nostre periferie, dove uomini, donne e bambini dormono nelle fabbriche dismesse, come topi intimoriti. Se volesse ripetere le parole che Giovanni Paolo II ha rivolto nel 2002 al Parlamento italiano, senza essere ascoltato: indulgenza, riconciliazione. E ancora e soprattutto: pace.
Sarebbe bello se Benedetto XVI, forse inteso come transizione, non si pensasse costretto alla conservazione. Se la Chiesa del nuovo millennio, assieme alle istituzioni laiche costruisse e suggellasse una nuova epoca, con la guerra cacciata finalmente fuori dalla storia. Per fare posto all?uomo nuovo, a una globalizzazione giusta. Ma questo può forse farlo solo una Chiesa dei poveri, attenta agli ultimi più che ai primi, meno gerarchica e più comunitaria, maggiormente aperta ai giovani e alle donne. Dunque capace di cambiamento, anche radicale.
Sergio Segio
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