Non profit
«Serve un pattotra pubblicoe privato sociale»
Intervista a Cristiano Gori, ricercatore dell'Iris
di Redazione

Oggi in Italia circa tre milioni di non autosufficienti sperano che il tanto annunciato sistema di integrazione socio-sanitario diventi realtà. Nell’attesa si tuffano nel mercato privato. Il risultato è che oggi il nostro Paese è abbondantemente sotto la media europea in fatto di spesa pubblica per i servizi sociali, risultando invece uno dei primi per quanto riguarda l’aggravio sul budget annuo di una normale famiglia. Cristiano Gori, ricercatore all’Irs e autore e curatore di numerosi libri sul sistema di assistenza in Italia (come La riforma dell’assistenza ai non autosufficienti, ipotesi e proposte, per le edizioni de il Mulino), nei suoi articoli e saggi ha da sempre denunciato la deriva privatistica del nostro Stato sociale, proponendo invece un vero salto di qualità nel rapporto tra Stato ed economia civile.
Social Job: Cristiano Gori, lei ha sempre parlato di un patto per i non autosufficienti. Cosa intende?
Cristiano Gori: Intendo un confronto tra governo centrale, amministrazioni locali e privato sociale su una futura riforma del welfare assistenziale. Un patto a inizio legislatura che prenda in considerazione tre punti fondamentali per lo sviluppo di un vero Stato sociale integrato: più investimenti da parte del pubblico attraverso un maggior finanziamento del Fondo per i non autosufficienti e più efficaci meccanismi di detrazioni e deduzioni per le famiglie; creazione di servizi e strumenti di informazione e collegamento tra domanda e offerta a livello locale e, infine, offerta qualitativa di servizi sanitari e residenziali ad alto livello di integrazione. Ma per fare questo è necessario un accordo tra le parti che definisca gli obiettivi e i passi intermedi da compiere.
SJ: Molti hanno parlato del modello tedesco che ha introdotto un fondo ricavato con il versamento dell’1% dei guadagni dei lavoratori…
Gori: In Italia questo modello non è replicabile per la diversità del contesto. Forse potremmo prendere spunto dalla Spagna dove Zapatero nel 2007 ha lanciato un piano a scadenza 2015 con risorse crescenti e grazie al quale, secondo il grado di non autosufficienza, ogni cittadino ha diritto a risorse economiche e servizi garantiti dal pubblico e dal terzo settore. Che ha peraltro contribuito fattivamente all’ideazione del programma. Un aspetto fondamentale è che il Piano è stato votato all’unanimità dal parlamento, così anche se dovesse cambiare la maggioranza rimarrebbero le linee programmatiche e i pacchetti di servizi.
SJ: I fondi integrativi, attivi da aprile grazie al decreto attuativo firmato dall’allora ministro Turco, possono ricoprire un ruolo importante in un nuovo modello di welfare integrativo?
Gori: Sono indubbiamente un buon passo avanti, ma non sono la soluzione. Il rischio è che si passi sempre più ad un mercato del sociale, etico quanto vogliamo, ma pur sempre privato. Invece, questi strumenti devono essere appunto di integrazione di un servizio pubblico, che però deve potere garantire una sostenibilità economica a tutta la rete di intervento. Noi oggi abbiamo bisogno di circa quattro miliardi di euro per impostare un sistema funzionale. Ma la priorità a quanto pare è quella di spendere circa tre miliardi per il taglio dell’Ici…
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