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Servizio civile, parla il nuovo responsabile. Ricominciamo da 2.724

Sono le volontarie attualmente in servizio. Ma con il nuovo bando si conta di arrivare a 6mila. Parla Massimo Palombi.

di Barbara Fabiani

L?obiezione di coscienza compie 30 anni, ma ora ha davanti la prova più difficile: il servizio civile volontario, che chiama a dare spontaneamente quello che l?obiezione offriva attraverso il condizionamento di un obbligo. Facciamo il punto della situazione con Massimo Palombi, da poco nominato nuovo direttore generale dell?Ufficio nazionale per il servizio civile. 59 anni di cui 35 di esperienza politica, prima con la Dc e poi tra i fondatori del Ccd, Palombi ha una lunga carriera come alto funzionario in istituzioni pubbliche e amministratore locale. Vita: La legge stabilisce la fine della leva obbligatoria nel 2007, ma il ministro Martino vuole che sia anticipata alla fine del 2004. Palombi: La scadenza anticipata crea qualche problema anche a noi perché abbiamo poco più di un anno per lanciare un servizio civile volontario con risultati credibili. Ma per diffondere un interesse verso qualcosa di nuovo e per far passare un valore ci vuole un po? di tempo. Sappiamo che anche le associazioni chiedono di posticipare almeno al 2006. Potremmo ragionarci insieme. Vita: Come va il reclutamento dei volontari? Palombi: Con qualche problema, ma non avallerei i toni preoccupati letti sulla stampa. Al momento abbiamo 2.724 volontarie. Ma con l?ultimo bando, il più sostanzioso, contiamo di arrivare a 6mila, poco meno della metà delle 14mila attese. Un buon risultato per il primo anno. Allargando le candidature ai giovani di sesso maschile speriamo di raddoppiare. Vita: Come si spiega la difficoltà di trovare volontari in alcune regioni piuttosto che altre? Palombi: C?è un problema di concorrenza con il mercato del lavoro, ma non solo questo. Il servizio civile non è un?esperienza che si può fare indistintamente, giocando soltanto sulla convenienza. Ci deve essere la volontà di rendersi utile. I progetti che sono stati utilizzati per gli obiettori di coscienza potevano anche essere generici e talvolta poco appetibili. Adesso i progetti devono sollecitare la voglia di impegnarsi dei giovani. Qui ci vuole un salto di qualità. è qualcosa di cui il Terzo settore e i Comuni sono consapevoli. Noi stiamo avviando una convenzione con l?Anci per dare un?assistenza di carattere progettuale ai Comuni e risorse per diffondere il servizio civile nelle cittadine medio piccole. Vita: L?Associazione obiettori nonviolenti sta incoraggiando un ?trasferimento? di volontari dal Sud al Nord, in strutture che darebbero vitto e alloggio. Palombi: E’ un?idea interessante che dovremmo valutare. Vita: Non crede che i requisiti per il servizio civile siano un po? rigidi? Palombi: Se si riferisce ai vincoli di orario e all?incompatibilità con altri lavori, potrebbe esserci una certa rigidità. Personalmente non vedo perché il servizio civile debba essere incompatibile con piccole attività a termine, o svolte il fine settimana. Vita: Cosa ne pensa dell?idea di un servizio civile obbligatorio? Palombi: E’ una proposta difficile da percorrere perché il servizio civile nasce in parallelo con il servizio militare, e quindi se quest?ultimo è volontario è difficile immaginare un servizio civile obbligatorio; ci sarebbero incongruenze anche da un punto di vista costituzionale. Vita: Della legge 230/98 restano alcune cose in sospeso. Come, ad esempio, predisporre forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta e la diffusione del servizio civile svolto all?estero. Palombi: E’ un inadempimento che ci viene ricordato spesso. Però mi chiedo che senso abbia avviare delle ricerche di studio su qualcosa in cui la legge 230/98 è decisamente più avanti della realtà. Potremmo certo finanziare delle ricerche a questa o quella università, ma non avremmo risolto. L?impiego all?estero di corpi di difesa civile non armata dovrebbe rientrare in un disegno più ampio di politica estera del Paese. Una cosa è sostenere l?attività degli enti in questa direzione, attraverso un lavoro amministrativo e organizzativo, altro è aspettarsi che questo ufficio faccia qualcosa che dovrebbe essere fatto dalle autorità politiche. Vita: Insomma, lasciamo che l?obiezione si spenga da sola… Palombi: Assolutamente no. Questo ufficio ha l?impegno di gestire l?obiezione fino all?ultimo giorno di vigenza, e nel miglior modo possibile. Per questo stiamo migliorando l?organizzazione. Come l?informatizzazione delle precettazioni, e possiamo anche pensare a un diverso sistema degli scaglioni di partenza. Inoltre, con il definitivo trasferimento delle competenze sul servizio civile volontario al solo Ufficio nazionale per il servizio civile, grazie a un protocollo d?intesa con il ministero della Difesa, si sono ridotte le occasioni di intreccio delle procedure. Ad esempio, dall?1 ottobre siamo noi a occuparci dei rinvii per motivo di studio. Vita: Lei ha due figli maschi, di 15 e 11 anni. Pensa di incoraggiarli verso il servizio civile? Palombi: Manca ancora tempo. Per adesso ho portato loro le spillette e i distintivi della campagna di informazione. Obiezione di coscienza Festa dei 30 anni èsoprattutto una festa quella che riunisce il 15 dicembre chi ha lottato perché l?obiezione di coscienza diventasse un diritto. Ci si trova infatti per festeggiare una svolta che in 30 anni ha permesso a oltre 674mila giovani di dichiararsi obiettori. Ma anche per fare il punto su nuove alternative alla difesa militare e sulla diffusione di una cultura di pace basata su nuovi stili di vita. Il 15 dicembre 1972, per la prima volta in Italia, una legge riconosceva la possibilità di dichiararsi obiettori al servizio militare senza finire in carcere. A Roma, dal 13 al 15 dicembre, l?Associazione obiettori nonviolenti ricorda questi trent?anni di storia con il suo sesto congresso nazionale, che per l?occasione si conclude con un grande concerto per la pace (il 15 sera al Teatro Sala Umberto). A Roma festeggia anche la Caritas, con un convegno il 14 dicembre all?Università Gregoriana. Oltre ai trent?anni di obiezione di coscienza in Italia, ricorrono i 25 anni del servizio civile Caritas, esperienza che ha coinvolto 100mila giovani. «Sono stati 30 anni importanti, che hanno segnato la storia del nostro Paese», dice Massimo Paolicelli, presidente dell?Associazione obiettori nonviolenti. «La prima legge sull?obiezione, pur con molti limiti, ha rappresentato una svolta epocale». Ma con la fine del servizio di leva obbligatorio, che ne sarà di questo patrimonio di scelte personali all?insegna della nonviolenza? Secondo Paolicelli siamo di fronte a una svolta altrettanto epocale. «Con la fine della leva obbligatoria non vengono meno né gli eserciti, né la guerra, né le armi. L?obiezione, prima che un gesto, è uno stile di vita. Se manca questa coscienza critica anche il servizio civile volontario rischia di rimanere una pezza sulle situazioni di disagio e di povertà, senza incidere su di esse». Si apriranno quindi nuove vie per obiettare al conflitto armato? Esperienze interessanti sono già in corso da qualche anno. Come quella dei Caschi Bianchi, promossa a partire dal 92 dall?Associazione Papa Giovanni XXIII. Gli obiettori di coscienza, in questo caso, hanno sperimentato in diverse situazioni di conflitto un modo alternativo per superare la crisi senza ricorrere all?uso delle armi, attraverso l?interposizione pacifica e il monitoraggio del rispetto dei diritti umani, in collaborazione con le agenzie delle Nazioni Unite, la Croce rossa internazionale e le ong presenti sul campo. «La pace si promuove anche attraverso comportamenti quotidiani», sottolinea Paolicelli. La sperimentazione di alternative alla difesa armata e la pace basata su nuovi stili di vita sono al centro del congresso nazionale dell?Associazione obiettori, che vede coinvolte diverse associazioni del Terzo settore. «L?idea è quella di creare sinergie fra le realtà della società civile che stanno sperimentando vie nuove di nonviolenza» spiega Paolicelli, «anche per proporre un servizio civile volontario qualificato, e per promuovere una cultura di pace che parta dal quotidiano». Emanuela Citterio


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