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Servizio civile per combattere la disoccupazione

Il presidente della Fondazione Dynamo interviene nel dibattito sul nuovo servizio civile lanciato nei mesi scorsi da Vita: «Il nuovo assetto dovrà venir gestito da una nuova agenzia centralizzata con fondi pubblici, ma anche privati»

di Enzo Manes

 

Enzo Manes
Il presidente della Fondazione Dynamo Enzo Manes, inteviene nel dibattito lanciato da Vita sl servizio civile universale (in allegato il manifesto per il servizio civile universale). 
 
Una terza vita. E’ quella che può rilanciare il sopravvissuto (al militare obbligatorio) “Servizio civile nazionale”. Una rivitalizzazione che rimetterebbe nel circuito del lavoro – con l’orgoglio di chi si sente parte di un progetto sociale – persone che ne sono forzatamente uscite. Una nuova  agenzia centralizzata, cioè, a finanziamento pubblico-privato, capace di programmare, formare e gestire un volontariato – non più solo giovanile – con i criteri di professionalità dei migliori servizi per il lavoro. Il bacino da cui pescare è molto ampio. E’ quello della cassintegrazione (più di 428 milioni di ore richieste da inizio d’anno con quasi 500 mila lavoratori coinvolti, un miliardo di ore previste a fine 2012), che è disoccupazione mascherata pur se depotenziata dal sostegno al reddito del lavoratore. Un lavoratore che, comunque, molto spesso è colto dalla depressione per il senso di inutilità che lo aggredisce.
 
L’altro punto di forza del nuovo servizio civile è quello della solidarietà e della sussidiarietà, fornito da quel lavoro volontario che è l’unica attività oggi in crescita in Italia, quello autopromosso individualmente e quello giovanile (18-28 anni) gestito dall’attuale Unsc, l’ufficio nazionale per il servizio civile. Un lavoro, quest’ultimo, svolto oggi solo su progetti annuali presentati da amministrazioni pubbliche, associazioni non governative e non profit e che, negli ultimi 10 anni, ha coinvolto 284.596 giovani.
 
Da una parte, dunque, lavoro scomparso nel gorgo della disoccupazione e, dall’altra, lavoro offerto (con un rimborso spese finora di 433,80 euro mensili) con un fine solidaristico teso al bene collettivo.
E’ una separazione davvero ineluttabile? Perché invece non pensare ad un ponte, a una coniugazione, una sinergia tra volontariato e disoccupazione, qualificando il primo con momenti formativi mirati sull’ente di servizio civile utilizzatore e offrendo alla seconda occasioni di lavoro socialmente utile per una quota di disoccupati-inoccupati? Ecco dunque la proposta: creare una sorta di agenzia per il lavoro volontario, chiamiamola “ScI-Servizio civile Italia”, che faccia da matching tra domanda e offerta, pescando anche nell’area della non occupazione più o meno temporanea.
 
ScI è uno strumento di potenziamento e rilancio dell’esistente: allarga scopi e popolazione interessata dell’attuale Servizio civile. L’obiettivo è di strutturarsi come strumento efficace e operativo per l’incontro tra la necessità di manodopera e di servizi e l’offerta di forza lavoro. Con la differenza però, rispetto al vecchio servizio civile, di non essere solo emettitore di bandi e smistatore di progetti provenienti dagli enti interessati, ma essendo esso stesso creatore e promotore di progetti su cui poi formare e impiegare i volontari e i cassintegrati più professionalmente adatti. 
 
Anche gli stessi settori di applicazione del servizio civile verrebbero ampliati, diventando oggetto di una pianificazione strategica capace di muoversi sulla base dei bisogni del Paese e, specificamente, di quelli dei territori. Non più quindi solo giovani massimo 28enni, ma anche, indipendentemente dall’età, persone in cassa integrazione a zero ore e altre categorie di lavoratori, indicate dalle aziende di concerto con i ministeri del Lavoro e della Cooperazione.
 
In sintesi:
1)ScI non è più un ufficio del ministero, ma diventa una fondazione a finanziamento pubblico-privato, in cui le aziende corrispondono al Servizio civile Italia, nei modi e con parametri da definire ma correlati comunque all’ammontare della cassa integrazione richiesta, un piccolo contributo (pochi euro) per ogni lavoratore interessato,  per permettere a ScI di creare progetti e implementarli. Con un ritorno per le imprese che non è solo di immagine e di potenziamento della responsabilità sociale, ma anche di valorizzazione di professionalità riutilizzabili in seguito nell’azienda stessa in caso di rientro del lavoratore, o nel sistema Paese in generale
2)ScI definisce centralmente i  bisogni nazionali (mantenimento patrimonio artistico, ambientale e culturale, problemi sociali ed emergenze, educazione, ecc.) e, parallelamente, raccoglie quelli locali con il meccanismo del bando
3)Vengono interessati sia i volontari che i cassintegrati. Nel secondo caso l’azienda che richiede la Cig iscrive automaticamente i propri dipendenti alla forza lavoro di ScI
4)ScI, a seconda dei bisogni del paese e di quelli regionali, classifica le anagrafiche e le competenze dei lavoratori, definendo, grazie a un’opportuna struttura professionale, anche la formazione necessaria e le strade per fornirla efficacemente.
 
In definitiva ScI promuove l’orgoglio del sistema Italia, sviluppando il senso di appartenenza a un progetto comune di rilancio del lavoro e di valorizzazione del volontariato. Un’identificazione vitale per lavoratori scoraggiati e giovani che cercano una via di immissione  nel mercato del lavoro. E perché no, magari con una bella maglietta identitaria con il logo “ScI”.


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