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Si grida, si protesta ma qualcuno, zitto zitto, emenda

di Redazione

Grida. Non è più tempo. O almeno dovrebbe. Eppure, il linguaggio è sempre quello e disegna una montagnola: i «premesso», i «rilevato», i «considerato» sono gli scalini di una salita in cima alla quale c’è il perenne «ordina», dal cui si ridiscende lungo i «demanda», «dispone», «avverte». Un su e giù che può far scivolare anche il buon senso. Prendete l’ultima ordinanza. È firmata da Sergio Bolzonello, primo cittadino di Pordenone, e vieta (ma solo in zona centro, ha precisato magnanimo il sindaco) l’assembramento ovvero «la contemporanea presenza di due o più persone». Motivi di ordine pubblico (la sacrosanta quiete dei residenti). Sull’efficacia, però, la porta dei dubbi è apertissima. Come sulla costituzionalità e, ancor più, sui controlli. Giacché avevano questo di caratteristico le grida manzoniane: tanto più minacciavano (e qui la multa arriva fino a 500 euro), tanto meno erano ascoltate.
Voce grossa. La fa il primo cittadino di Massa, Roberto Pucci (anche lui, come Bolzonello, a capo di una lista civica). Dopo il primo, violento, scontro fra ronde, probabilmente niente più pattuglie. «Massa non ne ha bisogno: dai dati del Viminale siamo la sesta città più sicura in Italia. Se le vuole, il ministro Maroni faccia le ronde a casa sua».
In silenzio. Mentre alcuni strepitano, qualcuno zitto zitto scrive emendamenti. L’onorevole Maurizio Bernardo, per esempio. Sua l’iniziativa di aggiungere nel pacchetto anticrisi alcune clausole che potrebbero bloccare la Corte dei Conti: per indagare si dovrà prima avere una specifica e precisa notizia del danno e sapere se quel danno sia stato cagionato per dolo o colpa grave. In un’intervista, il deputato ha puntualizzato di essere «in quota Gelmini», di conoscere la materia e di non essere palermitano. Precisazione curiosa quest’ultima. Certo da non collegare all’inchiesta che proprio la Corte dei Conti sta conducendo in Sicilia. Dove il presidente Raffaele Lombardo è indagato perché avrebbe provocato un buco di 4 milioni di euro assumendo venti giornalisti nel suo ufficio stampa (tutti con la qualifica di capo redattore). L’indagine, si può obiettare, riguarda anche il suo predecessore, Totò Cuffaro. Ed è vero. Un’altra inchiesta, sempre della Corte dei Conti, invece riguarda il solo Lombardo. Oggi reclama soldi per il Sud, ma forse si è dimenticato di aver speso, negli ultimi 5 mesi del 2008, un milione e 250mila euro in regali. Nella lista, 600 palmari di ultima generazione, 300 fra gemelli e orecchini in oro, 1.500 teste in ceramica dei discendenti della famiglia reale e via scialacquando.

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