Mondo
Siamo tutti JFK
Un film decisamente interessante, benissimo interpretato, che si fa perdonare alcuni difetti e che può essere persino il sintomo di un nuovo risveglio hollywoodiano ...
di Redazione
Sembra di proseguire il ragionamento dell?ultima volta, quello sul film di Muccino. Giacché anche la pellicola di questa settimana è sul sogno americano (nella sua declinazione più vera, quella in cui il collettivo e l?individuale possono convergere). Solo che ne mostra la fragilità, se preferite la fine. Con l?assassinio di Robert F. Kennedy (siamo nel giugno del 1968), per gli Stati Uniti si è aperta una fase di non ritorno, almeno secondo Emilio Estevez (che l?ha scritto e diretto). Una morte che ha sancito la perdita dell?innocenza e decretato la fine di un?epoca. Quella dei grandi ideali raccontati da Martin Luther King, da John e Bobby Kennedy appunto, e vissuti come realizzabili da milioni di americani.
Uno sguardo indietro che non è casuale: nelle dichiarazioni di Kennedy, nei frammenti dei suoi interventi, temi di grandissima attualità. La guerra (allora, il Vietnam). Il ruolo degli Usa nel mondo. L?equità sociale ed economica di un Paese dove le disuguaglianze erano potenti (non più di oggi). L?identità della nazione (compassionevole e accogliente). L?importanza della democrazia (solo 40 anni fa così impressionantemente fragile). Discorsi spezzati brutalmente ma condivisi dai tanti personaggi che affollano l?albergo in cui il candidato presidente trovò la morte (e assieme a loro dalle tante facce anonime che vediamo, nella tenerezza di quegli anni, stringere le mani all?uomo politico, dichiararsi felici e migliori solo per averlo visto).
Da una certa prospettiva Bobby è il racconto corale (alla Altman per intenderci: ve lo ricordate America oggi?) non di una giornata ma di uno stato d?animo. Quello che caratterizza ogni attesa del cambiamento. Ed è bravo Estevez a seguire le molte vicende (micro solo relativamente). La crisi della coppia borghese e inquieta, la diva alcolizzata e tirannica, il marito traditore, ma anche le nozze per evitare il Vietnam e il primo acido di due ragazzini che chissà cosa saranno diventati. L?hotel Ambassador (come in una vecchia pellicola con Greta Garbo, Grand Hotel, onestamente citata) diviene metafora di un mondo che non sa ancora in quale direzione andrà il suo futuro. E che non ha ancora capito come risolvere le sue numerose contraddizioni (soprattutto i conflitti sociali e razziali).
Un film decisamente interessante, benissimo interpretato, che si fa perdonare alcuni difetti (come l?insistenza del doppio finale e qualche lungaggine) e che può essere persino il sintomo di un nuovo risveglio hollywoodiano.
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