La giornata europea
Sibling: mai più fratelli invisibili
Uscire allo scoperto per una sorella o un fratello di una persona con disalità o malattia significa riconoscere le proprie esigenze, confrontarsi e condividere esperienze, per comprendere meglio il proprio vissuto e trovare sostegno. Questo è fondamentale per il benessere, come emerge chiaramente dalle testimonianze dell'associazione Parent project che da tempo si dedica a questa fondamentale componente della comunità dei pazienti

«Ho sempre riconosciuto mio fratello prima di ogni altra cosa, prima ancora della malattia. Ho sempre pensato che S. fosse solamente S., con qualche difficoltà motoria. La visione che ho di lui è rimasta invariata negli anni, quello che è cambiato con la crescita, è aver preso coscienza delle complicazioni che derivavano o sarebbero derivate dall’aggravarsi della Duchenne» dice Barbara, 25 anni, sorella di Samuele [nomi di fantasia], capace di trovare parole dirette che condensano larga parte del vissuto del sibling, termine ormai di uso comune per riferirsi alla sorella o al fratello persone con disabilità o con una patologia. A loro, ai siblings, spesso invisibili perché dietro le quinte, ma componente fondamentale della comunità dei pazienti, è dedicata la giornata europea del 31 maggio, un’occasione per dialogare e per mettere in luce le specificità e le difficoltà spesso correlate a questa condizione.
Essere sibling significa vivere, senza averla scelta, una situazione ricca di sfide che evolvono con il tempo senza però sparire mai. Sempre Barbara: «Insieme al primo precoce capello bianco, sono arrivate anche le domande e i dubbi, se effettivamente il ruolo che nessuno mi ha attribuito e che mi trovo a ricoprire mi andasse bene o mi rendesse felice. Per me essere sibling ha significato anche crescere prima del tempo, sentirmi in dovere di alleggerire il peso familiare, facendomi, anche inconsciamente, carico di responsabilità più grandi di me. Mi ricordo di aver pensato “Io non voglio dover preoccuparmi di tutte queste cose, io voglio solo essere sua sorella!».
«Questa Giornata celebra il legame speciale che unisce fratelli e sorelle, che assume ulteriore complessità, ma anche valore e significato quando parliamo dei fratelli e sorelle di persone disabili» spiega Ezio Magnano, presidente di Parent Project, associazione italiana che riunisce i pazienti con distrofia muscolare di Duchenne e Becker e le loro famiglie. «In questi anni in tutti noi è maturata l’idea e la certezza che il benessere psicologico dell’intera famiglia passa non solo dalla consapevolezza dei genitori nell’affrontare la distrofia di Duchenne o Becker, ma anche e soprattutto dal benessere e dal coinvolgimento dei sibling, che spesso offrono un aiuto insostituibile». Di recente, Parent Project ha pubblicato la nuova edizione della brochure Sibling, fratelli invisibili. Il passaggio dalle quinte al palcoscenico, ricca di testimonianze dei diretti interessati, ragazze e ragazzi siblings (disponibile qui). Da diversi anni, l’associazione dedica loro servizi e risorse ad hoc, al fine di accogliere e sostenere tutto il nucleo familiare ed accompagnarlo in ogni tappa del suo percorso di vita. Anche i fratelli e le sorelle hanno bisogno di aiuti specifici, per essere accompagnati nella comprensione del proprio vissuto e delle difficoltà che incontreranno e nello sviluppo di fattori protettivi e di resilienza.
«Essere sibling porta, inevitabilmente, a sviluppare un’empatia e una sensibilità diverse rispetto ai ragazzi della nostra età: siamo più attenti ai bisogni degli altri, alle ingiustizie e alle disparità. Queste qualità, se non gestite e moderate, possono diventare un ostacolo, penalizzando chi le possiede» conferma Barbara. «La rabbia era la mia migliore, ma indesiderata, amica, che mi proteggeva più di ogni altra mia emozione: è sempre stata la prima a manifestarsi, ponendo uno scudo di difesa contro ogni attacco avverso, anche se a volte, immotivatamente».

Sapere che non si è gli unici a provare queste emozioni è di grande aiuto per chi è già abituato all’idea di essere il “bravo bambino”, quello che non da problemi, che sta sullo sfondo, che prova gelosia e invidia e il senso di colpa che ne consegue, che si aggiunge a quello di sentirsi il “sopravvissuto” per non essere malato; che vive l’inversione dei ruoli, per cui il minore diventa il realtà il fratello maggiore, e la frustrazione per i dileggi all’indirizzo del fratello disabile o malato. Con l’età, poi, sopraggiungono la necessità di formulare un proprio progetto di vita non all’ombra delle esigenze ed emergenze di famiglia e il dilemma tra le spinte alla propria autonomia e la necessità di accudire l’altro, spesso gli stessi genitori. Con l’età adulta, le cose non si semplificano e sopraggiungono altre domande ancora più scomode e insolite: dovrò prendermi cura di mio fratello? Solo dal punto di vista pratico o anche economico? Troverò qualcuno che accetterà la mia situazione? Potrò farmi una mia famiglia con figli “sani”?
Convivere con disabilità e malattia non è facile, ma con il giusto supporto si può imparare a farlo. Ancora Barbara: «Da quanto detto, sembrerebbe che essere sibling abbia solo aspetti negativi e, ancora oggi, mi è difficile riconoscere i lati positivi. In questo percorso siamo riusciti a superare situazioni difficili, avversità e ostacoli, e abbiamo ricevuto in dono doti come coraggio, fantasia e forza per supportare al meglio i nostri fratelli. Essere siblings non è così male quando impariamo a essere valorizzati e riconosciuti».
Foto di Parent Project
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