Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Cooperazione & Relazioni internazionali

Siria, la mia guerra contro Assad

Da studente modello a Londra, a miliziana delle schiere ribelli. Parla O.R.: «Qui ci sono persone pronte a morire per raggiungere i propri scopi e altri invece pronti a morire per la libertà»

di Chiara Caprio

Le notizie dell’ultima ora dicono che Aleppo cadrà, e con essa anche il supporto internazionale, ormai sempre più critico rispetto alle possibili infiltrazioni di al-Qaeda in Siria. «Abbiamo ragione di credere che gruppi terroristi affiliati ad al-Qaeda abbiano perpetrato attacchi con l'obiettivo di incrementare la violenza in Siria» ha dichiarato il ministro degli esteri britannico William Hague. Ma proprio a Londra è cominciata la rivoluzione per buona parte degli attivisti oggi nello schieramento anti-Assad. Tra questi, anche O.R., che non ha nemmeno 30 anni e a Londra ha studiato relazioni internazionali. E lì che ci siamo conosciute, ed è lì che un giorno mi ha guardato sorridendo: «il mio sogno è diventare il primo presidente donna della Siria». Era il 2011. L’Egitto, la Tunisia, i paesi chiave stavano cadendo uno dopo l’altro. Poi O.R. ha cominciato a passare le serate su skype, chiusa in stanza. Abbiamo iniziato a vederla davanti all’ambasciata siriana a protestare, sempre più scossa e stanca. Fino alla decisione di partire, tornare in Siria nel momento più caldo, «perché sentivo che stavo lasciando il mio paese a se stesso» spiega a Vita.it 

Sei convinta di questa scelta di tornare in Siria, proprio ora?
Già allo scoppio della rivoluzione siriana volevo tornare a casa per scendere in strada a protestare con i miei amici. Ma stavo studiando e ho deciso di finire gli studi. Ho vissuto con grande senso di colpa quella distanza. Sentivo che stavo lasciando miei amici soli a gridare nelle strade, ad essere arrestati, torturati e uccisi. Ho sempre sognato di abbattere il regime in Siria e creare uno stato democratico forte, ma quando il sogno stava cominciando a divenire realtà, io ero lontana. Per questo ho deciso di tornare, per essere parte di questo movimento che sta riscrivendo un capitolo importante della storia siriana.

Già a Londra però mi ricordo che hai animato la protesta della comunità siriana. Ci racconti qualcosa in più sulle tue attività in Europa?
Quando la rivoluzione si allargò alla Siria, gli attivisti contro il regime che però vivevano all’estero organizzarono delle proteste e sit-in davanti alle ambasciate siriane del paese di residenza. Personalmente, ho preso parte a molte proteste davanti all’ambasciata siriana a Londra, dove molti di noi si trovavano per esprimere tutta la rabbia contro il regime. Però protestare davanti a un’ambasciata è molto diverso dal protestare in Siria. Certo, era l’unico modo che avevamo per mostrare solidarietà ai nostri amici in Siria. Abbiamo poi organizzato molte altre proteste ed eventi per raccogliere fondi e per supportare gli attivisti in Siria.

E quando sei tornata in Siria, che paese hai trovato?
Ho trovato una guerra, persone pronte a morire per raggiungere i propri scopi e altri invece pronti a morire per la libertà.

Com’è cambiato il tuo paese in quell’anno in cui sei stata a Londra?
Da quando Assad prese il potere in Siria, il nostro paese venne chiamato “il reame della paura”, perché Hafiz Assad e poi il suo successore Bashar crearono uno stato di controllo totale. In quel momento, i Siriani cessarono di discutere di politica e smisero di  sognare veramente di sovvertire il regime. Ma quando il 5 marzo dello scorso anno anche in Siria è esplosa la rivoluzione, il paese è cambiato molto. Per prima cosa, la più importante, i muri virtuali creati dalla paura sono crollati per sempre. La gente parla di politica, protesta ed è cosciente dei propri diritti. E questa è la parte positiva di questo cambiamento. E’ però esplosa una guerra civile tra quelli che sono dalla parte di Assad – soprattutto Alawiti, una setta sciita – e tra quelli che sono contro Assad. La società siriana è completamente spaccata, anche se la maggioranza ormai è contro Assad. Sono morti più di 20mila siriani, come fai a non essere contro? Solo che in Siria siamo divisi in tante sette ed etnie. I Sunniti sono contro Assad, mentre i Cristiani hanno paura di un possibile regime islamico, ma si rifiutano di prendere le armi contro i rivoluzionari.

Ora si parla molto della battaglia di Aleppo, ma tu vivi nella capitale, qual è la situazione a Damasco?
Dal punto di vista della sicurezza è terribile. Il paese è in guerra e l’esercito è nelle strade. Il regime ha creato dei check point che dividono il centro della capitale. Ci sono bombardamenti giorno e notte. Arresti e uccisioni continuano senza sosta. Il Free Syrian Army contro Assad sta cercando di sfidare il regime e di colpire l’esercito, ma è molto più debole dei militari ufficiali.

Quindi quali proteste state portando avanti a Damasco?
Protestare nella capitale vuol dire farsi arrestare dalle forze di sicurezza. L’esercito colpisce chi protesta, spara direttamente. E altri li arresta. Molti dei miei amici sono stati arrestati, alcuni uccisi.

E tu però vai avanti?
Certo, con gli amici che sono rimasti in vita. E con quelli, nuovi, che ho conosciuto proprio grazie a queste proteste.

E la tua famiglia cosa ne pensa?
La mia famiglia non lo sa. Non sa nulla della mia attività contro il regime. Se sapesse, non mi permetterebbe di fare nulla. I miei genitori mi terrebbero chiusa in stanza, perché sono preoccupati per la mia incolumità. Sanno perfettamente quanto sono pericolose queste attività.

Quindi le persone hanno anche paura. Pensi che il vostro movimento rispecchi quello che la popolazione vuole davvero per il proprio paese?
La popolazione vuole liberarsi di Assad e del suo regime per costruire uno stato democratico in cui poter godere dei diritti democratici e di cittadinanza. Vogliono essere cittadini normali e non schiavi della dinastia Assad.

In tutte queste rivoluzioni però hanno giocato un ruolo centrale i paesi stranieri. Si sente questa presenza in Siria?
Questo è ovvio e sì, visibile. Tanto per cominciare, si vedono molto bene le armi cinesi e russe nelle braccia dei soldati. In secondo luogo, il veto di Cina e Russia ha bloccato ogni intervento internazionale ufficiale. In terzo luogo, nonostante i proclami americani e del mondo occidentale, i vostri governi hanno ancora bisogno che Assad rimanga al potere, perché non sanno cosa aspettarsi dopo la fine del regime. A loro interessa solo dei propri guadagni, vogliono semplicemente liberarsi di Assad, indebolire la Siria e creare un governo fantoccio che segua la loro agenda. A nessuno interessano veramente i siriani che muoiono ogni giorno.

Le ong internazionali non possono aiutarvi in qualche modo?
No. Non possono entrare in Siria o muoversi liberamente. Da quello che so, nemmeno l’UNHCR sta facendo molto per aiutare i due milioni di profughi siriani che sono scappati in Turchia, Iraq, Giordania e Libano. Ci sono oltre 60mila prigionieri politici che rischiano di morire, che sono torturati, e nessuno sta facendo nulla per aiutarli.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA