Anteprima magazine

Socialwashing: se lo conosci, lo eviti

La "S" di Esg talvolta maschera attività aziendali o si trasforma in marketing furbetto. Su VITA magazine di ottobre, studiosi, imprenditori ed attivisti spiegano come riconoscere l'opportunismo ed evitarlo. Con in più il primo rating per misurare l'impegno sociale di 40 note aziende del Made in Italy redatto in collaborazione con Altis/Cattolica

di Giampaolo Cerri

Sul verde è tutto chiaro, sul sociale no. Parliamo di Esg, parliamo cioè dei criteri che ispirano, o dovrebbero, l’azione delle imprese nei riguardi della sostenibilità: Environmental, Social, Governance. Per l’ambiente c’è appunto una direttiva europea che sanziona chi usa furbescamente qualifiche ed aggettivi ecologici, per fare marketing facile facile o per stornare l’attenzione del consumatore da altre vicende aziendali, magari un po’ imbarazzanti. Contro il greenwashing c’è appunto una norma europea, la direttiva 825 del 2024, contro il parente stretto socialwashing gli appigli mancano.

Per questo VITA, col numero del magazine di ottobre, che trovate qui, ha voluto vederci chiaro come recita la bella copertina di Francesco Poroli. La cover mostra appunto una lavatrice, forse modello un po’ retrò, che simboleggia l’arte del diversivo, oltre che del detersivo in cui qualche imprenditore talvolta indulge: pulire, sbiancare i panni di un’azienda con una bella attività filantropica. Sì perché la “S” di questo famosissimo acronimo che connota l’impegno sociale delle imprese, oltre a essere piuttosto debole rispetto alla “E”, ha anche questo problema: talvolta può essere strumentale.

Studiosi, esperti, attivisti

Per capire come il cittadino, l’elettore, il consumatore  – tutte qualità che hanno a che fare con la coscienza – possa riconoscere questo opportunismo, difendersene e magari impegnarsi perché non si ripeta, abbiamo chiesto il parere di molti: nel capitolo 1 di questa nostra inchiesta, chi scrive ha intervistato una serie di studiosi, esperti, giornalisti, attivisti. Accademici come Andreas Rasche, preside aggiunto alla Copenhagen Business school, Mario Calderini, professore del Politecnico di Milano e uno dei massimi esperti di impatto in Europa, Paolo Venturi, direttore di Aiccon Research, il think tank dell’Alma Mater e delle centrali cooperative sull’Economia civile. Oppure imprenditori, come Simone Gamberini, presidente di Legacoop, tra i pochi a prendere una posizione pubblica a favore di un’altra direttiva europea a tema sostenibilità, quella sulla diligenza dovuta, e Lara Ponti, vicepresidente Confindustria con delega alla transizione ecologica e imprenditrice sensibilissima in materia, tanto d’aver fatto certificare l’azienda di famiglia come benefit corporation. Con loro protagonisti della consulenza, come Lorenzo Solimene, super esperto di Kpmg, del mondo filantropico a impatto come Alessia Gianoncelli di Impact Europe, e dell’azionariato critico come Simone Siliani, direttore di Fondazione finanza etica; della comunicazione di settore, come Rossella Sobrero, “inventrice” del Salone della Csr e dell’Innovazione sociale, la cui dodicesima edizione è alle porte.

Lavanderia sociale dai confini labili

Con loro abbiamo messo insieme tante tessere di un unico grande mosaico che restituisce alcuni elementi molto chiari.

Il primo è che i tratti del socialwashing sono sfuggenti e i contorni poco chiari. Prendendo come spunto il recentissimo Pericolo socialwashing, che Sobrero ha scritto per Egea, la nostra Ilaria Dioguardi ha messo insieme 10 celebri storie di lavanderia sociale, a volte pink, a volte rainbow, altre volte health e sport, a seconda della tematica presa a pretesto. Dieci non 10mila, insomma, e questo è significativo. Secondo elemento: gli antidoti all’opportunismo di alcune aziende stanno nella consapevolezza delle imprese tutte che imbastire il washing costa ed espone a rischi e che rende di più guidare un cambiamento che farne una maschera. 

Terzo elemento: l’unica arma che hanno i cittadini che non vogliano esser presi per il naso, è l’essere informati, con scelte di consumo e di voto conseguenti.

Valutare la “S” contro i furbetti. Il Rating VITA/Altis

Il fatto che sulla “S” si possa talvolta barare, ha a che fare anche con la difficoltà di misurare le attività sociali stesse. Un problema noto: gli standard non sono moltissimi, i dati spesso non di facile reperimento. 

VITA, in  collaborazione con Altis la graduate school di Università Cattolica inaugura uno speciale Rating del sociale prendendo in esame le prime 10 aziende per fatturato in quattro settori tipici dell’economia italiana, quelli che una volta erano i pilastri del Made in Italy: automotive, arredamento, food e fashion. 

Come racconta Nicola Varcasia, che ha lavorato fianco a fianco con gli studiosi dell’alta scuola diretta dal professor Matteo Pedrini, sono stati valutati alcuni elementi, cinque, della governance e dell’impegno sociale, desumendoli dai bilanci e dai documenti ufficiali, e attribuendo a ognuno un valore, fino arrivare a un voto, assegnato da VITA.

The winners are e quelli “dietro la lavagna”

La più sociale delle aziende italiane risulta in assoluto la Brembo di Bergamo che, producendo apparati frenanti sta nell’automotive, nel food e nell’arredamento vincono le filiali di due multinazionali straniere, rispettivamente Coca Cola e Ikea, mentre si torna al tricolore (anche se recentemente partecipato da Lvmh) con Moncler nel tessile-abbigliamento.  Ai primi 10 posti assoluti troviamo anche Lavazza, Barilla, Cereal Docks, Ferragamo, Calzedonia, e Parmalat a pari merito con Ferrari.

Il problema sono molte aziende che collezionano zero in classifica. Dietro la lavagna vanno: Yves Saint Laurent, Bottega Veneta, Loro Piana, Max Mara, Agricola Tre Valli, Bunge Italia, Iris Mobili, Friul Intagli, Poltronesofà, Media profili, Molteni, Lube, Ducati, Maserati e Citroen Italia.

Le storie di buona “S”

In un numero sull’impegno sociale di comodo, non poteva mancare ovviamente una rassegna di storie aziendali positive.

Di nuovo Varcasia si è calato in alcune importanti realtà dell’industria e dei servizi, raccontando progetti Social di valore, come quelli di Vodafone di supporto ai giovani Neet tramite la sua fondazione corporate, Intesa Sanpaolo che ha misurato l’impatto sociale dei progetti finanziati dalla sua Direzione Impact, di Carrefour, impegnata con alcune realtà sociali contro lo spreco, di Iccrea Bcc, con varie attività di sostegno alle comunità locali e con L’Oréal Italia, che sta impegnando le proprie persone in un’attività consapevolezza su diversità e inclusione. 

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