Famiglia

Società civile, ultimo argine ai virus

La Cina ha dimostrato di poter chiudere intere città, costruire un ospedale in pochi giorni, mobilitare risorse ingenti. Ma ha anche rivelato quanto sia fragile un sistema privo di una società civile libera e forte. Una lezione per il nostro Paese, dove la situazione appare capovolta: politica fragile, cortocircuito dell'informazione, molta paura. Ma anche corpi intermedi che, proprio ora, sono chiamati a non demandare la loro missione

di Marco Dotti

L'uomo, come la vite, «vive di sostegni, la forza che acquista deriva dagli abbracci che dà». Non è un caso che queste parole, tratte dal Saggio sull'uomo (1730) del poeta inglese Alexander Pope, siano richiamate da Adam Ferguson tra le pagine di un suo lavoro sulla storia della società civile.

Abusato, svuotato, richiamato a ogni tornata elettorale, invocato quasi sempre fuori contesto, quella di società civile è però un'idea-chiave e una forza-guida che ha ancora un ruolo importante per tutti noi. Soprattutto ora.

Se vogliamo capire che cos'è la società civile non servono grandi teorie, basta guardarci attorno: che cosa accade quando viene meno? Ci ritroviamo con una società dominata solo dalla paura, dall'isteria, dal disordine, dall'ansia sicuritaria, dalla mancanza di reciproco appoggio, dalla morte della fiducia. Una società così non ha futuro.

Ecco perché il mutuo sostegno, il riconoscersi comunemente fragili, l'unirsi nel pericolo – l'abbraccio, suggeriva Pope – sono il fondamento che definisce la possibilità di una vita comune. Non ce ne sono altri.

Più volte Stefano Zamagni ha ricordato che c'è una differenza profonda tra civitas e urbs. Se già per gli antichi romani l'urbs, ha spiegato Zamagni, era la “città delle pietre”, la civitas genera ben altro. Era la “città delle anime”. Sembrava una distinzione astratta, oggi la tocchiamo con mano nei supermercati presi d'assalto, nelle strade quasi vuote, nelle ordinanze rispettate alla lettera persino in Chiesa, come non era successo nemmeno ai tempi della peste. Una città di pietra, che rischia di vedersi indurire il cuore.

Benché il nostro spazio civico sia oramai classificato come "ristretto" da Civicus Monitor, non profit sudafricana che monitora lo stato di salute della società civile, è proprio a questo spazio e alle sue risorse che, in queste ore di isteria, dobbiamo fare appello. Allargandolo, non restringendolo ancora di più.

Che cosa accadrebbe, infatti, se questo spazio venisse a mancare? Se i centri di aiuto, quelli di accoglienza, i dormitori, le mense sociali, ma anche le sedi delle migliaia di associazioni che compongono la spina dorsale del nostro Paese chiudessero o riducessero i propri servizi ai più fragili, ai più esposti, come purtroppo sta già accadendo in alcune città della Lombardia? Resistere all'onnipotenza ottusa della burocrazia, riorganizzandosi ma senza arretrare: è questo il compito della società civile, oggi più che mai. Essere l'ultimo argine, per scongiurare il collasso, non dare la spinta finale. A Lodi, ad esempio, nella zona rossa è stato chiuso l'emporio solidale: chi ne pagherà le conseguenze?

Una lezione dalla Cina può esserci utile.

Non si governa senza società civile

L'ex corrispondente della Xinhua, l'agenzia di stampa della Repubblica Popolare cinese, oggi al New York Times, la giornalista Li Yuan ha scritto che Pechino ha dimostrato al mondo che può chiudere intere città, costruire un ospedale in pochissimi giorni e tenere a casa milioni di persone per settimane. Cose importantissime, ma davvero efficaci? Pechino ha anche mostrato tutta la sua debolezza: non è in grado di lavorare con la sua stessa gente.

Il coronavirus ha messo così in luce che cosa accade a società dove lo spazio civico è sottoposto a continua pressione. La totale assenza in Cina di corpi intermedi non governativi, ossia di una società civile organizzata fatta di associazioni, gruppi imprenditoriali, organizzazioni no profit, enti di beneficenza e chiese «che riuniscono le persone senza coinvolgere il governo», è oggi considerata una delle cause della tardiva risposta a COVID-2019.

La logica del «big government» cinese sembra essersi inceppata proprio a questo livello: la sua azione, per quanto rapida, non si è mostrata socialmente efficace. La società civile, suggerisce Li Yuan, può essere vista come il sistema nervoso che aiuta una Paese a muoversi in modo fluido e vivace.

Eppure, come sta oramai emergendo con chiarezza, proprio il tentativo di limitare la circolazione di informazioni sull'epidemia, punendo i netizen e minacciando le non profit che si erano impegnate su questo fronte, ha ritardato fortemente la risposta all'epidemia. Secondo Human Rights Watch (HRW), la stessa risposta del Governo di Pechino, che inizialmente ha minimizzato la gravità dell'infezione, respingendo la possibilità di trasmissione del virus tra gli esseri umani sarebbe una conseguenza di questa ostilità verso i corpi intermedi.

Atene, suggeriva d'altronde il grande storico Tucidide, non venne distrutta dalla peste, ma dalla sua paura della peste. La sconfitta contro Sparta fu dunque preannunciata dal collasso della sua società civile. Non possiamo permettercelo.

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